“Lo sguardo che desidero condividere con voi è quello di un pastore che cerca di andare a fondo nella sua esperienza di credente, di uomo che crede che Dio vive nella sua città”. Sono le parole di un importante discorso pronunciato nell’agosto 2011 dall’allora arcivescovo di Buenos Aires, Jorge Mario Bergoglio, come saluto iniziale al primo congresso di pastorale urbana della regione di Buenos Aires (“Dio nella città”, San Paolo 2013). Un discorso importante perché aiuta a capire lo stile e l’insegnamento del primo mese di pontificato di Papa Francesco.
“Le immagini del Vangelo che più mi piacciono – diceva il cardinale – sono quelle che mostrano ciò che Gesù suscita nella gente che incontra per la strada”. L’immagine di Zaccheo: il quale, accorgendosi che Gesù è entrato nella sua città, sente risvegliarsi il desiderio di vederlo e si affretta a salire sull’albero.
La fede farà sì che Zaccheo cessi di essere un traditore al servizio proprio e dell’Impero, e divenga un cittadino di Gerico, che stabilisce relazioni di giustizia e solidarietà con i suoi concittadini.
L’immagine di Bartimeo: il quale, quando il Signore gli concede la grazia che desidera – “Signore, che io veda” -, lo segue nel cammino. Per fede, Bartimeo cessa di essere un uomo ai margini, trascinato al bordo della strada, e si converte in protagonista della propria storia, camminando con Gesù e con il popolo che lo seguiva. E, poi, l’immagine dell’emorroissa: che, in mezzo a una moltitudine che si stringe al Signore da ogni parte, tocca il suo mantello attirando il suo sguardo, rispettoso e pieno di affetto. Grazie alla fede, la donna si trova inclusa in una società che discrimina la gente a causa di alcune malattie considerate impure. Sono immagini d’incontri fecondi: il Signore passa e fa del bene, perché vede!
Al contrario, il non-sguardo crea moltissimi “non cittadini”, “cittadini a metà” e “di troppo”: o perché non godono di pieni diritti o perché non assolvono ai propri doveri.
I cristiani devono guardare perché Dio sta già vivendo nella città ed è vitalmente mischiato con tutti e con tutto. “Dio già vive nella nostra città e ci costringe – diceva Bergoglio – a uscire e andargli incontro per scoprirlo, per costruire relazioni di vicinanza, per accompagnarlo nella sua crescita e incarnare il fermento della sua Parola in opere concrete”.
La presenza operosa di Dio nella città origina un preciso stile pastorale, che potrebbe essere denominato di “prossimità”. Ora, il pastore guarda alla sua città con la luce della fede e supera la tentazione del “non-sguardo”, del “non-vedere”. Si può dire che lo sguardo di fede conduce pastori e fedeli a uscire ogni giorno, e sempre più, incontro al prossimo che abita nella città. Spinge a uscire verso l’incontro perché questo sguardo si alimenta nella vicinanza.
Le indicazioni dell’allora arcivescovo di Buenos Aires sono utili anche per il contesto italiano, specialmente quello dei grandi centri urbani. Qui le barriere sono tante. Ci sono quelle create dalla diversità, che non vengono superate dall’integrazione, ma ci sono anche quelle più tipiche del contesto occidentale e che sono dovute all’individualismo. Si vive accanto in grattacieli, senza incontrarsi; si pensa alla propria affermazione personale a scapito dell’altro; si domandano diritti individuali, che condannano alla solitudine. La Chiesa, nutrita dello sguardo di fede avuto da Gesù, insegna e vive rapporti di prossimità; lo fa in tanti modi, ma uno in particolare è significativo. A motivo delle parrocchie presenti su tutto il territorio la Chiesa in Italia ha la caratteristica della capillarità, notata da Benedetto XVI al Convegno nazionale di Verona.
Le parrocchie sono centri di prossimità; qui viene annunciata la Parola che propone lo sguardo vero sulle persone e sulla realtà, qui si celebra l’Eucaristia, presenza reale del Risorto e nutrimento per il cammino da intraprendere, qui si pensano e si attuano le forme di cura dell’altro, da qui si parte per farsi prossimi. Le parrocchie, ma anche le associazioni e i movimenti – nella misura in cui non si chiudono in sé, non aspettano nuovi membri, ma inviano – costituiscono il superamento dell’individualismo, che indebolisce il tessuto sociale e comunitario. Sono l’antidoto contro l’indifferenza e sono scuole di cura e di custodia, dove si insegna la tenerezza verso l’altro specialmente se fragile. Non si deve aver paura della bontà e della tenerezza, ha ricordato Papa Francesco nell’omelia per l’inizio del ministero petrino.
Lo sguardo necessario è quello che conduce a sentirsi in relazione con l’altro ed insieme sentirsi responsabili della città. “Se partiamo dalla constatazione che l’anti-città cresce con il non sguardo – diceva ancora il cardinale Bergoglio – la città umana cresce con lo sguardo che vede l’altro come concittadino. In questo senso, lo sguardo di fede è fermento per uno sguardo di cittadinanza. Per questo, si può parlare di un “servizio della fede”: un servizio esistenziale, testimoniale, pastorale, che il credente offre alla costruzione della città.