C’è modo e modo di far le cose: e quello che si sceglie, di solito fa la differenza nel risultato finale. È quel che viene da pensare alla notizia che Equitalia ha deciso di non procedere a pignoramenti sui conti correnti dei lavoratori dipendenti e dei pensionati (con stipendi e indennità fino ad un generoso limite di 5mila euro al mese) per riscuotere un credito fiscale. Prima di bloccare i conti bancari, gli agenti della riscossione dovranno procedere ai pignoramenti presso i datori di lavoro o i relativi enti previdenziali, ma solo quando saranno certi che lo stipendio o la pensione superi l’ammontare di 5mila euro mensili.
Una misura, questa, meno vessatoria della precedente: un conto è richiedere i soldi dovuti, un altro è quello di “entrare” come in un saloon nei conti correnti bancari, strumenti vitali per una famiglia dove i redditi si mescolano ai risparmi. Ed è da leggere con una certa soddisfazione anche la decisione di… dare un voto alla fedeltà fiscale dei contribuenti: in modo che si sappia immediatamente chi è sempre stato ligio al dovere, e chi è invece abituato a scappatelle fiscali più o meno intense.
Questo rating del contribuente sarà assegnato ad ogni codice fiscale e partita Iva, e si baserà pure sulla “propensione” di certe figure professionali a dichiarazioni fiscali o ad operazioni non sempre limpide e corrette. Si spera che questo sia il viatico per un Fisco più attento a certe dichiarazioni dei redditi assolutamente scandalose (fa strano che, per molti anni, il titolare di un’attività commerciale dichiari meno dei propri commessi. O no?) che agli errori formali di un pensionato da mille euro al mese.
Insomma qualcosa si muove nell’ambito di una riscossione fiscale che, pur nella sacrosanta esigenza di stanare un’evasione enorme, lo stava facendo con metodi a volte discutibili. E discussi, visto che alcune amministrazioni locali si stanno muovendo per creare alternative in loco meno asfissianti di Equitalia.
Forse anche queste decisioni hanno stimolato l’agenzia di riscossione a rivalutare la propria azione. Non è certo colpa di Equitalia se la pressione fiscale, nel nostro Paese, ha raggiunto livelli da record mondiale; né le si può imputare l’altissimo tasso di furbizia di buona parte dei contribuenti italiani. Stanare i disonesti – perché non pagare le tasse equivale a rubare – è cosa buona e giusta; farlo con la mano pesante e senza distinguere il grano dal loglio, è solo vessazione. Soprattutto nei confronti di chi sbaglia e non froda: dimenticatevi di pagare un bollo auto, e vedrete…
In un momento di forte crisi come quello attuale, tutti devono rendersi conto che esistono molte situazioni in precario equilibrio, ai limiti dello spezzarsi. Un padre di famiglia in difficoltà ha come prima esigenza quella di far mangiare i propri familiari, più che sanare un debito fiscale relativo ad un bollo auto, appesantito all’inverosimile da sanzioni e interessi di mora. E appunto questo potrebbe essere un passo successivo che la politica – se finalmente tornerà ad esercitare il suo ruolo – potrebbe adottare: una sanatoria su sanzioni e interessi, in cambio del pagamento immediato del debito. Entrerebbero subito molti soldi nelle casse di uno Stato che si presenterebbe al cittadino-contribuente con un volto meno arcigno ed insensibile.
Ma il vero problema sta a monte. La cravatta fiscale che abbiamo al collo ci sta soffocando, va allentata. Se non per ragioni ideali, almeno per quelle pratiche: uccisa la mucca, finisce il latte. E tutti gli studiosi sono concordi nel sottolineare che una pressione fiscale troppo elevata dà solo effetti negativi: strangola gli onesti, favorisce l’evasione, a questo punto davvero conveniente. Bisognerà rimettere mano allo Stato, alle sue dimensioni, alle sue funzioni e alle sue capacità di realizzarle. Così com’è, sta schiantando la schiena di un popolo intero.