“Nessuno, oggi, potrebbe immaginare un negoziato con Bashar al Assad. Dobbiamo innanzitutto aiutare il popolo siriano a difendersi. Si tratta, in sostanza, di raggiungere un equilibrio militare tra le forze in campo”. Un negoziato garantito dall’equilibrio delle armi, è quello che propone George Sabra, dal 22 aprile, presidente ad interim della Coalizione nazionale siriana delle opposizioni in esilio, per mettere la parola fine a una guerra civile che sta uccidendo la Siria, mentre la Comunità internazionale resta colpevolmente alla finestra. A nulla valgono gli appelli dei vescovi siriani, e non solo, che da mesi invocano lo stop alle forniture di armi così da porre fine al massacro. È solo un caso, allora, che ieri siano stati rapiti due vescovi locali che lavorano da sempre, e dall’inizio del conflitto, per il sollievo della popolazione e la convivenza pacifica nel Paese e che hanno lanciato più volte alla comunità internazionale l’appello a non lasciare sola la Siria per cercare una soluzione politica e fermare l’escalation militare?
“Sono un cristiano siriano ma non mi sento minoranza. Sono figlio di questa cultura araba cristiana. Io e i musulmani siamo figli di una sola nazione e abbiamo lo stesso destino. La Siria è multiconfessionale, è il Paese dei cristiani così come dei musulmani”. Parlava così, non più tardi di due mesi fa, a Roma, George Sabra, che all’epoca guidava il “Syrian national council”, prima piattaforma di oppositori all’estero, nata nell’ottobre del 2011. Dal 22 aprile Sabra, di fede cristiana, più volte in carcere (circa otto anni) come prigioniero politico, è il presidente ad interim della Coalizione nazionale siriana delle opposizioni in esilio. Parole che acquistano ulteriore senso in un momento in cui la situazione nel Paese precipita ogni giorno di più, con notizie di stragi e di violenze incredibili che non si fermano nemmeno davanti ad anziani, donne e bambini, principali vittime di una guerra civile che nessuno sembra voler fermare. Alla strage di domenica nel villaggio di Jdaidet Fadel, sobborgo a sudovest di Damasco, con centinaia di morti, si è aggiunta ieri la notizia del rapimento, nella zona di Aleppo, di due vescovi, Mor Gregorious Yuhanna Ibrahim, della Chiesa siro-ortodossa di Aleppo, e Bolous Yazejy, della Chiesa greco-ortodossa di Aleppo. I presuli sono stati rapiti, secondo quanto riportato dalle agenzie, mentre trasportavano aiuti umanitari. Nei giorni scorsi ad Istanbul i ministri degli Esteri degli 11 Paesi occidentali e musulmani del gruppo “Amici della Siria”, fra cui l’Italia, hanno chiesto l’avvio di trattative per una fine politica del conflitto. Da parte sua l’Opposizione siriana ha rassicurato la comunità internazionale, preoccupata per l’avanzata della componente jihadista, e ribadito che le forniture di armi non andranno nelle mani sbagliate. Daniele Rocchi, per il Sir, ha fatto il punto della situazione con il presidente Sabra.
Presidente, ieri sono stati rapiti due vescovi cristiani. Da leader dell’Opposizione e da cristiano, come reagisce a questa ennesima escalation di violenze e abusi?
“Siamo impegnati a risolvere la vicenda nel minor tempo possibile. Li stiamo cercando dovunque. Si tratta di una questione che ci sta particolarmente a cuore. Vorrei che fosse chiaro che per noi la liberazione è una priorità. Stiamo facendo del nostro meglio e speriamo di riuscire a risolvere questo dramma tra oggi e domani”.
La popolazione siriana è allo stremo dopo due anni di guerra, decine di migliaia di morti e feriti. Il Paese si sta spopolando nel silenzio della Comunità internazionale…
“Ciò che sta accadendo in Siria è incredibile. Basti pensare che solo due giorni fa è stata perpetrata una strage con centinaia di vittime e feriti. Si calcola che diecimila siriani attraversano ogni giorno i confini dei Paesi confinanti. Nei giorni scorsi abbiamo incontrato i Paesi amici ad Istanbul e li abbiamo messi di fronte alle loro responsabilità ed esortati ad agire. L’alternativa sarà quella di vedere milioni e milioni di siriani lasciare il loro Paese con inevitabili problemi per Giordania, Libano, Turchia ed altri ancora”.
I Paesi amici hanno chiesto l’avvio di trattative per una fine politica del conflitto. Secondo lei ci sono ancora margini per trattative con il regime di Assad?
“Se consideriamo la situazione attuale sul terreno direi di no. Nessuno, oggi, potrebbe immaginare un negoziato con Bashar al Assad. Dobbiamo innanzitutto aiutare il popolo siriano a difendersi. Si tratta, in sostanza, di raggiungere un equilibrio militare tra le forze in campo”.
Intende dire che allo stesso modo con cui l’esercito siriano viene rifornito di armi anche voi dell’Opposizione dovete avere la possibilità di ricevere armamenti da parte dei Paesi amici?
“Non c’è nessun dubbio. Se abbiamo lo stesso potenziale di armi, quindi un equilibrio sul campo, negoziare sarebbe possibile. Diversamente non saremmo sullo stesso piano”.
Ad Istanbul è stata ribadita la preoccupazione che eventuali forniture di armi cadano in mano a gruppi combattenti di estremisti islamici che operano all’interno delle forze di Opposizione…
“All’interno della nostra Coalizione non militano gruppi fondamentalisti islamici che pure operano sul terreno. Con noi ci sono musulmani, ma non sono integralisti e fondamentalisti. Con loro condividiamo la stessa visione di uno Stato democratico, civile frutto di elezioni libere. Non abbiamo nulla a che vedere con cellule e gruppi fondamentalisti”.
Ma come pensate di controllare che le armi non arrivino in mano a gruppi estremisti?
“Si tratta di una questione difficile ma che contiamo di risolvere”.
Come vede il futuro del suo Paese?
“Sono ottimista per il futuro democratico della Siria. La maggioranza della popolazione lo vuole. Lo slogan della nostra rivoluzione è “libertà e dignità” ed il popolo lo sostiene”.
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