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Ior e dintorni

Di Bruno Cescon

Il Papa, lo Ior e le strutture della Chiesa “un po’ burocratica” potrebbe essere il titolo quasi scandalistico di una comunicazione nemica della Chiesa.
Se non fosse che a trattare l’argomento è lo stesso Bergoglio. Con la schiettezza che gli è consueta.
Quella che mira direttamente al problema e non ferisce perché mossa dalla dolcezza e dal servizio alla comunità cristiana e all’intera società. Indubbiamente lo stile di Papa Francesco è insolito, persino originale nel suo italiano così meticciato.
Sembra guidato da una “santa temerarietà”. Eppure afferma una cosa ovvia che rischia però di essere dimenticata non solo dai commentatori delle vicende della Chiesa analizzate in chiave politico-sociale, di potere, ma anche da ogni credente, in particolare da noi cristiani occidentali.
“La Chiesa non è un’organizzazione burocratica, è una storia d’amore”, ha sottolineato nell’omelia durante la celebrazione eucaristica nella cappellina della Casa Santa Marta alla presenza di alcuni dipendenti dello Ior. In altri tempi, in un clima diverso il verbo adeguato per definire questa riflessione sarebbe stato il Papa ha “tuonato”. Ma Francesco disarma qualsiasi spirito bellicoso nel momento stesso in cui invita a una battaglia interiormente dura. È infatti una lotta da non demandare solo ai vertici, ma da vivere nella vita quotidiana.
Si avverte immediatamente che Francesco è lontano dagli schemi, mutuati dalla politica e dalla sociologia, che pretendono d’interpretare la vita di quella comunità originale, che è la Chiesa, secondo un perenne dualismo tra religione profetica e religione legale. La prima, considerata progressista, insisterebbe sulle motivazioni interiori, sul superamento del ritualismo e formalismo, sul rinnovamento, lontano dalle pastoie dottrinali. Nella seconda pulserebbe un cuore conservatore, gerarchico, anche impositivo, precettistico, ortodosso.
Il Papa inibisce, invece, la tentazione di una Chiesa umana, tanto umana, da confidare fino a vantarsene per la forza dei numeri, delle organizzazioni, degli uffici, dell’orgoglio di chiamarsi profeti più che l’umile potenza dell’amore.
La Chiesa è generata nel cuore del Padre, quale gesto d’amore, per cui non può che continuare a essere “una storia d’amore”.
“Ingenuo di un Francesco! Ti sfugge forse che la Chiesa ha confidato anche nel potere umano lungo i secoli?”. Nessuna ingenuità ma realistica ripresa di due millenni di vita ecclesiale. “La Chiesa non cresce con la forza umana”, anche se “alcuni cristiani hanno sbagliato per ragioni storiche, hanno sbagliato strada, hanno fatto eserciti, hanno fatto guerre di religione”. E quella “non è storia d’amore”.
Parole come pietre che nei suoi toni sereni, nella sua lettura così spirituale diventano un impegno per la sua “Curia”, i suoi uffici, per la sua Banca e per tutte le strutture ecclesiali come per ogni cristiano che confidi nel potere del denaro, della politica, del proprio ceto elevato.
Le sue, invece, sono parole condivisibili per ogni azione politica, economica e sociale. In termini laici si direbbe che è questione di cultura dell’onestà e della disponibilità al servizio anche esercitando il potere. Per il Papa è la cultura dell’amore che deve ispirare le strutture, gli uffici pur necessari della Chiesa e, conseguentemente, della società. Chi è senza peccato davvero scagli la rima pietra. Sia egli cristiano o laico.

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