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La vita buona del Vangelo. Questo tempo “complesso”, “dinamico”, “carico di sollecitazioni”, non privo di contraddizioni – come è stato detto alla Domus Pacis dai diversi relatori succedutisi sul palco e negli interventi dei delegati -, richiede una capacità rinnovata di interrogarsi sui fondamenti del credere e sulla possibilità per i cristiani di essere ancora oggi sale e lievito nel tempo. Monsignor Angelo Spinillo, vescovo di Aversa e vicepresidente della Cei, si è ad esempio soffermato sulla dimensione “ereditaria” dell’abitare il mondo: “Come figli di Dio, esercitiamo la libertà in un tempo e in uno spazio che il Padre ci ha donato. E questo tempo e questo spazio vanno usati bene, per far crescere la comunione tra i fratelli e l’armonia con il creato”. L’immagine utilizzata per sviluppare questo aspetto è presa dalla Bibbia: “Il Figlio compie le opere del Padre, e il Padre è presente nelle opere del Figlio”, il quale “si affida amorevolmente al Padre, e da ciò ricava la forza e la libertà di andare fuori, oltre la propria casa, ad annunciare con serenità la vita buona del Vangelo”.
Una fede che “colma i vuoti”. Ina Siviglia, docente alla Pontificia Facoltà teologica dell’Italia meridionale, muove da una analisi del “noi ecclesiale”, che “è dentro la storia, in una comunione tra laici e gerarchia per il bene del mondo”. “È stata questa la grande riflessione del Concilio. Parole come pluralità e reciprocità significano oggi accogliere l’altro nella sua alterità”. Ma il Vaticano II non è compiuto e la sua ricezione “è un processo lungo, ha bisogno di tempi che sono i tempi della storia. Ecco perché non dobbiamo scoraggiarci se ancora oggi, dopo cinquant’anni, parliamo di Vaticano II da capire e da accogliere”. Dai punti fermi al vissuto della comunità: “Dobbiamo sforzarci – prosegue Siviglia – di essere nel mondo e con il mondo, sporcarci le mani in questo nostro tempo. Noi assumiamo dalla Trinità le caratteristiche della persona umana, la reciprocità, il noi della Chiesa che si apre verso gli ultimi e i lontani”; i quali “si aspettano dalla Chiesa una conversione fatta di servizio, essenzialità, povertà. Poiché solo l’essenzialità della fede può colmare il vuoto della nostra epoca e il grande desiderio di Dio”.
La forza della famiglia. L’umanità e il credere che si misurano con il fluire della storia, il Vangelo “messo alla prova” della quotidianità. Ne parlano – nel corso di una tavola rotonda il 27 aprile – una coppia di sposi, un sindaco, un parroco. I primi, Monica e Gianni Borsa, si soffermano con un racconto che muove dalla ferialità della vita domestica, per affermare come la famiglia, nonostante le tensioni cui oggi è sottoposta, possa essere spazio di serenità, fonte di corresponsabilità, segno di speranza per il futuro: “In famiglia – affermano i coniugi – la responsabilità assume il volto dell’educare, del curare e custodire l’altro, dell’aiutare a crescere i figli, che ogni giorno affrontano nuovi aspetti del vivere”. La responsabilità riguarda anche l’impegno a trasmettere il senso di appartenenza alla “città dell’uomo” (studio, lavoro, volontariato, politica…), così come “l’apertura verso Dio mediante la bellezza e la gioia che nascono dalla fede”.
Palestra di corresponsabilità. Filippo Scalas, sindaco di Nurachi, piccolo centro della Sardegna, tratteggia un senso di corresponsabilità che passa dalla “polis”, dal farsi carico dei problemi e delle attese della comunità civile: “Da questa crisi e dalla sfiducia nella politica – afferma Salas – si esce con una politica più credibile, ma anche con cittadini disposti a farsi coinvolgere”. Don Claudio Nora guida invece una unità pastorale di tre parrocchie in centro a Milano: “Nella comunità parrocchiale il senso della matura corresponsabilità va costruito progressivamente, camminando insieme per lavorare meglio, facendo discernimento al fine di proporre risposte pastorali adeguate”. Lo stesso sacerdote, come in precedenza gli sposi e il sindaco, indicano nell’esperienza vissuta in Ac una “palestra di corresponsabilità”: “L’Ac non è solo un sovraccarico di impegni – conclude don Nora – ma franchezza nella carità, libertà, cura, condivisione, nutrirsi della Parola, costruire legami buoni, mettersi in gioco, capacità di porre in primo piano nelle nostre comunità i ragazzi e i giovani”.