Di Domenico Delle Foglie
Finalmente l’Italia ha un governo. Un esecutivo dotato sulla carta di una larga maggioranza che dovrebbe garantirgli l’abbrivio necessario. Un governo che nelle ore del giuramento ha dovuto subito fare i conti con la cronaca più inaspettata: una sparatoria dinanzi a Palazzo Chigi con il ferimento di due carabinieri e di una donna incinta, ad opera di un uomo forse in preda alla follia.
Al governo di Enrico Letta si chiede di costruire una base di consenso popolare tale da rasserenare gli animi, di predisporre alla collaborazione, di aguzzare le intelligenze, di invogliare a costruire ponti, di ricercare le difficili ragioni dell’unità a scapito delle facili divisioni, di individuare un percorso riformista, di seminare speranza. E per non esagerare, capace almeno di governare senza strappi per domare la crisi economica. Interpretando i sentimenti positivi degli italiani che hanno vissuto con sconcerto, e talvolta con disperazione, l’evolversi di una recessione epocale.
Queste sono ore di vigile attesa e di realistica speranza. E non veniteci a dire che chi vive di speranza muore disperato. I cinici, sempre al lavoro in questo Paese che non si vuole mai abbastanza bene e che non ama il lieto fine, ci lascino in pace per un po’. E soprattutto guardino le cose con un occhio meno furbo e disincantato.
Lo sappiamo che non aspettano altro che poterci dire: “Vi avevamo avvertiti, non c’è mai fine al peggio”.
Il peggio l’abbiamo già visto, vogliamo sperare nel meglio, perché forse dipende anche da noi e dalla nostra capacità di contribuire con le nostre forze, le nostre volontà e intelligenze, alla ricostruzione morale e materiale del Paese.
Un governo c’è. Frutto di una crisi politica lunghissima e senza precedenti. Che ha trovato uno sbocco solo attraverso grandi sacrifici personali. Primo fra tutti, quello di un presidente della Repubblica ultraottantenne che ha accettato, a malincuore, il secondo mandato. Per non parlare di quanti hanno visto bruciare il proprio nome e le proprie legittime aspirazioni, prima nella ricerca di un governo e poi nella corsa al Quirinale. La politica chiede e pretende grandi sacrifici umani. Ma chi per ragioni diverse viene sacrificato, merita rispetto e non la pubblica gogna, come spesso avviene in questo Paese. Così come merita rispetto chi si è assunto l’onere di governare un Paese difficilissimo come l’Italia, con il suo spaventoso debito pubblico e la sua disoccupazione da record che mortifica tutti, giovani e anziani.
Un Paese che ha rinviato riforme ineludibili come quelle istituzionali e non ha saputo dotarsi di una legge elettorale in grado di garantire una maggioranza certa.
Questo non è neppure il momento dei sottili distinguo – e ne avremmo – fra questo e quel ministro, fra questa e quella ricetta riformista, fra questa e quella forza politica. Non ce lo possiamo permettere e dobbiamo far ricorso a tutta la nostra sincera generosità e al nostro inguaribile ottimismo della volontà, per augurare a questo governo il successo che noi italiani meritiamo.
Noi speriamo e vogliamo credere che il “giovane” governo guidato dal “giovane” Enrico Letta (in altri tempi alla sua età si era più che maturi) sappia sposare le ragioni della prudenza con il coraggio dell’azione. Il Paese aspetta un’iniezione di giustizia sociale, attraverso un’equa distribuzione dei sacrifici, così come un’attenzione speciale per quanti (davvero troppi) sono scivolati nell’area della povertà.
Saggezza vuole che tutte le giovani energie ministeriali e di un Parlamento fortemente rinnovato in ogni settore, contribuiscano al processo di modernizzazione del Paese. Non si tratta in questo momento di creare, come in un asettico laboratorio sociale, nuovi diritti. Si tratta, piuttosto, di adoperarsi per garantire effettivamente i diritti costituzionali. Primo fra tutti, e senza un filo di retorica, quello al lavoro. E poi quelli allo studio, alla formazione, alla salute e alla costruzione di una famiglia. I poveri hanno già pagato un prezzo altissimo. E i governanti avveduti, italiani o europei non fa differenza, sanno bene che una spirale recessiva necessita di un fermo di sicurezza per non avvitarsi in una caduta senza fine.
L’Europa, poi, faccia la sua parte. Con questo giovane governo fortemente voluto da un anziano e saggio Presidente della Repubblica, l’Italia ha voluto dimostrare di voler fare la sua di parte. Incontrarsi per trovare insieme le vie di uscita dalla crisi interminabile nella quale siamo precipitati è questione che riguarda tutti. Non c’è solo un bene comune nazionale, c’è anche un bene comune dell’Europa. E passa, necessariamente, dalle parti del Belpaese.