Di Francesco Bonini
Nel Primo maggio irrompe nuovamente la questione sociale. Sembrava una cosa lontana, buona per i libri di storia o le rievocazioni commemorative. Il primo maggio sembrava semplicemente una bella festa di primavera, con tanto di concertone. Oggi la questione sociale ritorna. Certo, molto diversa rispetto a quella otto-novecentesca, sull’asse del conflitto tra lavoratori e padroni.
Oggi la questione sociale è, per usare una parola di moda, trasversale. E dunque più subdola e difficile da affrontare. Non basta riconoscere i diritti e ridistribuire con più giustizia ed equità, come si era fatto per risolverla, l’antica questione sociale dei paesi occidentali avanzati ed industrializzati. Il processo di diffusione crescente del benessere, che ha caratterizzato la seconda metà del ventesimo secolo, ed ha prodotto un grande ceto medio, è finito. Lo si sapeva da diversi anni, ma si è tentato di ignorarlo, di bolla in bolla finanziaria. Ed è venuta la crisi, spietata. Così, lo ha certificato con grande chiarezza anche il presidente della Repubblica, prima nel messaggio di fine anno e poi in quello della rielezione, la questione sociale si riaffaccia.
È fatta di impoverimento, cioè di perdita del potere di acquisto, delle famiglie e di persone che prima risultavano autosufficienti, di disoccupazione, cioè sia di espulsione di mano d’opera esuberante che di mancato ricambio, con i suoi effetti di emarginazione e diffuso senso di frustrazione giovanile. È fatta di sperequazioni che crescono, di distanze sociali che salgono.
Se la questione sociale di oggi e dei prossimi anni è trasversale e subdola, bisogna affrontarla con strumenti adeguati. Non bastano da sole le ricette finanziarie, né quelle economiche, né quelle politiche. Anzi, andando a senso unico, si rischia di accentuare i problemi. E nemmeno bastano le riserve o le risorse etiche, spirituali, comunitarie, di cui pure oggi si comincia ad avvertire l’insostituibile rilievo. Occorre mettere insieme risorse, strumenti e prospettive. A una crisi trasversale, bisogna dare risposte coerenti su diversi piani.
Al primo maggio l’Italia arriva finalmente con un governo. La lunghissima crisi di questi mesi allora può essere metafora convincente della situazione più generale. Le elezioni hanno prodotto uno stallo. Che peraltro era nelle cose, fotografava l’impasse del sistema paese. Per diverse settimane si è cercato di uscire dallo stallo attraverso iniziative volontaristiche, che hanno dovuto fare i conti con la dura realtà delle cose. Oppure accentuando conflitti e contrapposizioni. Fino a che si è deciso, non senza sacrifici e rinunce, di imboccare la strada giusta, anche se in salita, ripartire dal principio di realtà, avviando le forme della collaborazione possibile su una serie di obiettivi condivisi. Che non a caso ruotano tutti proprio intorno alle molteplici, inedite e complesse forme della nuova questione sociale.
Che ovviamente, come quella otto-novecentesca in cui ha le sue radici la festa del lavoro, non è di scala nazionale. Implica quantomeno quell’orizzonte europeo che ancora oggi è vincolo, opportunità e ulteriore potenzialità.