Oltre 800 superiore generali da 75 Paesi diversi, in rappresentanza di circa 700mila religiose di tutto il mondo. È un universo di fede in cammino quello giunto a Roma in questi giorni per la XIX assemblea plenaria dell’Unione internazionale delle superiore generali (Uisg) che, da oggi al 7 maggio, si riunisce per discutere insieme del “servizio dell’autorità secondo il Vangelo”. Diverse nel carisma e nella cultura, le suore dell’Uisg sono accomunate da un’identità che affonda le radici nella sequela di Cristo nella vita religiosa apostolica. Ed è proprio l’organizzazione della vita comunitaria che sarà al centro dei lavori, con un’attenzione particolare all’esercizio dell’autorità. Il Sir ne ha parlato con suor Josune Arregui, carmelitana della Carità di Vedruna, segretaria esecutiva dell’Uisg.
“Il servizio dell’autorità secondo il Vangelo”. Perché questo tema?
“Perché coinvolge direttamente i membri dell’Uisg: sono tutte superiore generali delle rispettive Congregazioni religiose apostoliche femminili. E poi perché si tratta di un tema chiave del rinnovamento post-conciliare che l’Uisg cerca di promuovere. La vita religiosa, così come accade più in generale per tutta la Chiesa, ha la tendenza ad adattarsi alla realtà sociale entro cui è inserita, e spesso nel mondo vediamo la brama del potere in chi esercita l’autorità e assistiamo a lotte per il controllo della leadership. A tutti piace parlare di democrazia – intesa come potere esercitato dal popolo – ma molti sono gli esempi di potere assoluto, a volte addirittura oppressivo. Dal Vangelo, invece, si alza una denuncia che ancora oggi ha una grande attualità: ‘Non sia così tra voi!’”.
Come è stato recepito il Concilio dalla vita religiosa in questi 50 anni?
“Il Vaticano II, partendo dal concetto di dignità umana, ha introdotto e incoraggiato atteggiamenti come il dialogo, la partecipazione, il discernimento. Tutti elementi che in questo mezzo secolo sono stati incorporati nelle Costituzioni e in particolare nello stile di esercizio della leadership delle Congregazioni religiose. Ma è un tema che non può essere trascurato perché, come possiamo constatare, persistono modelli verticali, a volte giustificati da una tendenza al maternalismo o da altre ragioni. La corresponsabilità che nasce dalla sequela di Cristo resta tutt’oggi una sfida”.
Dunque il cammino è verso forme di autorità non verticali all’interno della Chiesa…
“È l’esempio che ci viene proposto dal Vangelo. Gesù dice: ‘Chi vuol essere il primo sia il servo di tutti’ e ‘Non chiamate nessuno di voi padre né maestro, perché uno solo è il vostro Maestro’. La testimonianza che Gesù ci offre attraverso il gesto della lavanda dei piedi e molto più di un semplice ‘rito’, è parte dell’utopia evangelica a cui non possiamo rinunciare. Siamo convinte che se la vita religiosa sarà capace di testimoniare questo stile fraterno di leadership, potrà essere profezia nella Chiesa e per il mondo”.
Qual è oggi il ruolo delle donne consacrate?
“Il ruolo della donna nella Chiesa deve cambiare, così come deve cambiare nella società. Nel momento in cui le donne prendono consapevolezza della loro ‘pari’ dignità e dispongono di una preparazione uguale – a volte addirittura superiore – a quella maschile, è chiaro che devono essere chiamate a ruoli di maggiore responsabilità. Nella realtà sociale siamo a volte scandalizzati dal fatto che le donne, in alcune culture, vengono ancora schiacciate e asservite agli uomini. Talvolta l’idea di servitù e sottomissione delle donne appartiene anche alla vita consacrata e, in questo senso, la Chiesa deve fare dei passi avanti. I 50 anni di rinnovamento post-conciliare nella linea della corresponsabilità hanno dato seguito ad uno stile di vita religiosa femminile che non a tutti piace. Alcuni preferirebbero un atteggiamento più assoggettato e disponibile. Questo crea conflitti. Ma è stato proprio in obbedienza alla Chiesa che tale processo è stato posto in atto ed oggi risulta irreversibile”.
Una donna protagonista anche nella Chiesa…
“Come discepole alla sequela di Gesù abbiamo annunciato il Vangelo a tutti, essendo ‘memoria di Gesù’ attraverso il nostro stile di vita. Questa è la missione specifica della vita religiosa. Inoltre, come donne, credo che siamo chiamate a essere presenza viva della misericordia di Dio, con quelle caratteristiche umanizzanti che ci sono proprie e che rendono visibile il volto materno dalla Chiesa all’interno della quale, insieme ad altri laici cristiani, abbiamo il dovere di chiedere una maggiore partecipazione nelle strutture educative ecclesiali, parrocchiali e di governo. Dobbiamo superare il volto maschile della Chiesa che spinge alcune donne ad allontanarsi da essa”.
C’è un “rischio estinzione” delle religiose?
“Assolutamente no. Finché ci saranno credenti in Gesù ci saranno anche persone chiamate alla sequela, chiamate a seguirLo in comunità, a vivere come Lui il celibato, la comunione dei beni e l’obbedienza apostolica. Un dato però è certo: il numero dei religiosi sta diminuendo fortemente in Occidente, mentre cresce nelle Chiese più giovani dell’Asia e dell’Africa. In ogni caso la vita religiosa è chiamata ad essere lievito e per far questo non sono necessari i grandi numeri.
Quali sono le attese per il pontificato di Papa Francesco?
“L’inizio di questo pontificato ci porta a sperare in una Chiesa rinnovata ed evangelizzatrice, significativa per il mondo di oggi. Ci dà speranza anche il suo essere ‘gesuita’: è un riconoscimento ecclesiale importante dato che alcuni considerano ormai superate le Congregazioni tradizionali. Che abbia scelto il nome di Francesco ci incoraggia poi ad essere ciò che siamo, a non perdere la radicalità evangelica e a seguire questo nuovo stile che sta inaugurando con i suoi gesti e con le sue parole, rafforzando la nostra vicinanza e la nostra presenza tra i poveri”.
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