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Il ricordo di Don Francesco Vittorio Massetti

Di Marco Sermarini

DIOCESI – Don Francesco Vittorio Massetti, a San Benedetto noto come don Vittorio, nel resto del mondo come don Franz, in memoria della sua amicizia con il beato Pier Giorgio Frassati, quell’amicizia che tanto lo segnò. Non tutti forse sanno che il nostro illustre concittadino si ritrovò questo nome pur non avendo mai messo piede in aree germanofone proprio grazie a Frassati che, di ritorno da Berlino assieme a suo padre Alfredo, ambasciatore del Regno d’Italia da quelle parti, intendeva… germanizzare con la sua solita simpatia ed esuberanza chiunque incontrasse.

Il 16 Maggio si commemoreranno i 25 anni dalla sua morte, ci sarà una celebrazione in Cattedrale alle ore 18.00

I miei sono ricordi personalissimi e non hanno alcuna pretesa di “storicità”. Non ebbi mai modo di incontrare don Franz anche se conobbi qualche anno prima della morte di quest’ultimo il dottor Giuseppe Filippini, che lo ospitò a casa negli ultimi anni della sua vita travagliata ed avventurosa.

La fama con cui mi fu presentato nei racconti era quella di essere stato “l’amico di Pier Giorgio Frassati”, e per me questo ebbe subito un peso notevolissimo. Infatti compresi come mai, durante una delle mie prime sortite a Casa Santa Gemma, avessi trovato il ritratto di questo giovane bruno, bello e simpatico. Una delle signorine (la compianta Antonina) mi spiegò – alla mia domanda su chi fosse il giovane bello e sorridente ritratto in un quadro appeso all’interno di uno degli appartamenti in cui è suddivisa Casa Santa Gemma – che si trattava di “un bravo ragazzo”. Non approfondii subito vista la contingenza della merenda ai bambini che pressavano la povera signorina, ma anni dopo scoprii di chi si trattava tanto che mi innamorai per sempre di questo giovane di cui all’epoca non erano state ancora dichiarate eroiche le virtù cristiane. Parliamo degli anni 1984 – 1985. Scoprii non senza fatica (all’epoca non c’era internet e ci voleva una certa tenacia..) che si trattava di un grande uomo e di un grande santo; anni dopo seppi che Pier Giorgio era legato a doppio filo con la nostra città proprio grazie a quel don Franz, di cui fu compagno di studi al Politecnico di Torino. Franz uscì ingegnere, Pier Giorgio nacque al cielo troppo presto per diventare ingegnere su questa terra.

In un libretto denso di ricordi vivi e significativi dal titolo “Pier Giorgio Frassati nel ricordo di un amico”, don Franz narra con gratitudine ed ammirazione la delicatezza e la carità di Pier Giorgio di cui fu anche egli stesso oggetto. Forse uno dei racconti più belli e commoventi è uno che narra di Pier Giorgio che va a prendere Massetti alla stazione precedente al suo arrivo costringendolo a scendere dal treno prima del tempo per essere caricato letteralmente armi e bagagli sulla macchina del senatore Alfredo Frassati da Pier Giorgio, che voleva alleviargli la separazione dalla sua bella e cara città.

Ecco, questa signorilità e delicatezza cristiane furono anche di don Franz, questa stessa carità gli appartenne.

Seppi che, tornato a casa, fondò un circolo di Azione Cattolica intitolandolo al “suo” Pier Giorgio. Seppi poi che era il fondatore della Casa Famiglia Santa Gemma Galgani e l’ispiratore di tanti cattolici che hanno lasciato un segno in questo mondo, primo fra tutti il dottor Giuseppe Filippini, uno di quei giovani che lo incontrarono all’Augustinianum, collegio dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano dove fu cappellano. Fu tra i fondatori della prima cooperativa sociale d’Italia (che all’epoca si chiamava “di solidarietà sociale”, e proprio in questi giorni ne ricorrono i cinquanta anni). Venni anche a sapere dei travagli passati negli anni Quaranta del secolo scorso e della lunga e complessa vicenda che lo vide protagonista del cosiddetto “movimento dei cenacoli”, esperienza che traeva ispirazione alla Tradizione della Chiesa e che potrebbe oggi, mutatis mutandis, essere una fonte di ispirazione per ridare la dignità che si merita al prete cattolico e rimettere i laici al loro giusto posto nella Chiesa. Una vicenda che lo costrinse ad un cammino di umiltà, di annullamento di sé, di silenzio ma che non mise mai in dubbio la sua fede adamantina, mai lo fece mormorare, mai gli fece gettare la spugna. Continuò sempre ad amare la Santa Madre Chiesa senza tentennamenti ed infingimenti. Virtù eroiche che debbono tornare di attualità oggi, tempo in cui sempre più si chiedono strani “aggiornamenti” alla Chiesa, spesso senza quell’umiltà che fu del Massetti.

Di lui mi fu raccontata e mostrata la bontà, il tratto signorile ed elegante (Pier Giorgio – che a questo punto dobbiamo proclamare maestro nell’arte del soprannome – lo chiamava anche “Petronius, arbiter elegantiarum”: era don Franz che riaggiustava sempre la cravatta a lui, santo… scavezzacollo); conobbi il suo grande amore per la libertà (forse l’eredità più nitida che noi della Compagnia dei Tipi Loschi del beato Pier Giorgio Frassati gli dobbiamo) dagli uomini che formò ed influenzò, scoprii che attribuì sempre la sua vocazione sacerdotale all’influenza avuta su di lui da Pier Giorgio e seppi pure che questa certezza gli si palesò proprio nel luogo (la Chiesetta di San Francesco di Paola a Grottammare) dove decenni dopo, del tutto ignari di ciò, fummo mandati ad iniziare la nostra esperienza ecclesiale di confraternita cristiana.

So che convinse la sorella a donare la propria casa familiare per Santa Gemma, che divenne il cuore pulsante della nostra città, l’idea stessa della carità nella mente dei sambenedettesi di tutte le provenienze ed estrazioni (aiuta molto a comprendere quest’idea il felice volumetto di Giulia Ciriaci e Stefano Portu “Il mattone interrato”, uscito qualche mese fa; lo stesso titolo evoca l’idea di don Franz di essere, nella casa, il mattone interrato, quello che non si vede e che costituisce le fondamenta dell’edificio).

So che passava letteralmente ore ed ore davanti al Santissimo Sacramento esposto, e che continuò a farlo anche da anziano e sofferente in sedia a rotelle. Qualcosa significherà anche questo.

Le sue ultime parole furono nella lingua della sua terra: “Jasecriste mi’, ho peccato tanto ma non ti ho tradito mai”.

La sua vicenda umana oggi non va guardata con la gravità e col senso di chi deve chiedere scusa per qualcosa che non andò sempre per il suo verso, ma per la sua costanza che oggi diremmo “d’altri tempi” (è allora occasione perché torni ad essere anche dei nostri), per la quotidianità della dedizione a Gesù Cristo anche nelle vicissitudini più difficili, per l’amore a Cristo vissuto senza tralasciare un solo incontro, una sola parola, un solo gesto (anche questo è un modo “d’altri tempi” che occorrerebbe riportare in voga), per l’umiltà vissuta fino al suo ultimo gradino, per l’amore alla libertà che viene dall’appartenere a Gesù Cristo. Diversamente si rischia di falsarla e di perderne il vero significato.

Un uomo che ho conosciuto, stimato ed amato grazie al segno da lui lasciato in altri uomini e dopo aver riconosciuto in lui il segno indelebile di Gesù; quello stesso segno giunto a lui e mostratosi bello, persuasivo e degno del sacrificio di tutta la propria vita grazie al nostro Pier Giorgio.

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