“Avanti popolo della vita”. Questo il coro che ieri, domenica 12 maggio, ha animato i partecipanti della terza edizione della Marcia per la vita. In quarantamila hanno sfilato dal Colosseo fino a Castel Sant’Angelo, per poi portare il loro saluto a Papa Francesco. Associazioni cattoliche e non, famiglie e giovani provenienti da tutte le parti d’Italia, e del mondo, hanno marciato per le vie di Roma per “difendere i diritti di chi non ha voce”. “La nostra marcia – ha dichiarato la portavoce Virginia Coda Nunziante – è quella di un popolo che vuole infondere nuova vita in una società che si decompone e muore”. “La legge 194, a favore dell’aborto, approvata in Italia 35 anni fa, ha causato la morte di quasi 6 milioni di bambini – ha continuato -, oggi noi siamo qui anche per loro, affinché venga perseguita dai governi di tutta Europa una scelta di civiltà”.
Lottare insieme oltre i confini. Un “popolo” quello che è sceso in piazza che non ha confini, ma che condivide lo stesso obiettivo: “Affermare la sacralità della vita umana e, perciò, la sua assoluta intangibilità dal concepimento alla morte naturale, senza alcuna eccezione, alcuna condizione, alcun compromesso”. A sostenere questo messaggio c’era anche Jeanne Monahan, neopresidente della “March for Life” di Washington. Quarant’anni fa, infatti, in concomitanza con l’approvazione della legge americana a sostegno dell’aborto, proprio a Washington si tenne la prima marcia a sostegno della vita. “In pochi credevano che il nostro grido sarebbe stato recepito dall’opinione pubblica, i difensori dell’aborto sostenevano che dopo poco tempo la Marcia avrebbe perso entusiasmo e partecipazione, invece, non solo il numero, ma anche l’interesse è fortemente cresciuto negli anni, coinvolgendo sempre più giovani, che sono diventati i nostri principali sostenitori”. Non a caso è proprio una giovane ragazza americana, classe 1988, Lila Rose, la principale nemica di Planned Parenthood, il più grande ente abortista del mondo. Presente anche lei all’evento ha voluto raccontare le attività promosse con il suo gruppo “Live Action”. “È importante educare l’opinione pubblica sulla cruenta pratica dell’aborto – ha dichiarato – e nel far questo è fondamentale diffondere le immagini che testimoniano cosa accade all’interno delle cliniche abortiste”.
Educare alla vita. Raccontare cosa si cela dietro la parola “aborto” è l’obiettivo anche di Irene van der Wende, attivista olandese che, dopo aver subito una violenza carnale, rimase incinta e decise d’interrompere la gravidanza. Pentitasi di questo gesto, da allora partecipa a numerose iniziative pro-life per portare la sua testimonianza, ma anche “per diffondere le immagini tangibili di cosa significa uccidere un bambino”. In molti, infatti, hanno posto l’accento sull’importanza di “educare alla vita” e di “spiegarlo alle nuove generazioni”. Una missione portata avanti anche da padre Marcel Guarnizo, sia in America sia in Europa, il quale ha incitato i presenti a “resistere” e a “impegnarsi in prima persona per ottenere la chiusura delle cliniche abortiste nelle proprie città”. “In Belgio, ogni anno, 1 bambino su 6 viene ucciso a causa delle leggi liberticide, questo è inaccettabile e dobbiamo lottare insieme per costruire una nuova Europa”, ha sottolineato Paul Forget, di “Génération pour le Vie”. “La lotta contro l’aborto è una lotta mondiale – ha incalzato il portavoce dell’associazione spagnola ‘Derecho a Vivir’ – e deve vederci tutti coinvolti”.
Il futuro dell’Europa.Toccante, infine, la testimonianza di Xavier Dor, medico attivista francese che nonostante l’età, i problemi di salute e i vari arresti a causa delle sue proteste, continua a battersi per il “sì alla vita”. Molti, infatti, i medici che sono scesi in piazza e hanno voluto marciare a fianco degli attivisti indossando i loro camici bianchi per prendere le distanze dai colleghi favorevoli all’aborto. “È per questo che oggi siamo qui, per difendere la nostra ideologia e il nostro credo”, dichiara una studentessa della Facoltà di medicina del Sant’Andrea di Roma. Tra la folla, infine, anche associazioni e gruppi provenienti da Malta, Irlanda e Polonia, Paesi che stanno subendo forti pressioni dall’Europa perché attuino quanto prima una legge a favore dell’aborto. Proprio tra loro sventolavano striscioni che ricordavano le parole di Papa Giovanni Paolo II, una, in particolare, ricorreva spesso, “una nazione che uccide i propri figli è una nazione senza futuro”.
0 commenti