“Chi li ha forniti così bene di armi?”. È la domanda che suor Elvira Tutolo, suora della Congregazione delle Suore della Carità di S. Giovanna Antida, da 21 anni missionaria in Africa e da 10 nella Repubblica Centrafricana, si pone, facendo riferimento alle truppe ribelli dei Seleka che stanno seminando terrore e morte dallo scorso mese di dicembre.
Silenzio che uccide. Stupri, arruolamento di bambini soldato e ingiustizie diffuse stanno facendo da contorno a una situazione insostenibile che suor Elvira racconta in una mail inviata al Sir da Berberati: “Già dai primi di dicembre i Seleka (che significa ‘alleanza-matrimonio’) hanno iniziato a distruggere tutto al proprio passaggio verso il Nord-est del Paese. Poi sembrava fossero stati respinti, invece sono entrati nella capitale Bangui per prendere il potere; hanno messo in fuga il presidente Bozize e uno dei capi della Seleka si è autoproclamato presidente. I membri dei Seleka sono dei mercenari, giovani presi qua e là, senza alcuna formazione, molto violenti, senza un obiettivo politico e hanno ricevuto promesse di grosse ricompense che ora reclamano con forza al punto che lo stesso presidente ha dichiarato di non ‘essere più capace a gestirli’”. Ha paura suor Elvira e chiede aiuto alla stampa italiana; teme per le decine di persone che assiste nel Centro culturale, punto di riferimento della popolazione locale che si occupa dei problemi sociali del territorio.
Armati fino ai denti. “La Repubblica Centroafricana – spiega la suora – è un luogo ricco di petrolio, legno e diamanti: una ricchezza in mano a pochi, mentre la gente comune vive nella povertà più estrema; la loro vita, prima di questi avvenimenti, era già difficile: immaginatevi ora. Il giorno della Domenica delle Palme qui a Berberati è stato terribile: hanno ucciso nove giovani e ne hanno ferito quindici, tutti ragazzi che conoscevo bene. Io passavo proprio da lì, in centro città, quando loro stessi mi hanno fatto cambiare strada”. “Armati fino ai denti – prosegue la religiosa – i Seleka entrano nelle case e prendono tutto e la più piccola resistenza, anche solo verbale, si tramuta nell’essere uccisi. La notte del 21 aprile hanno sparato contro altri innocenti e hanno ucciso una bimba di 4 anni, raggiunta da una pallottola che ha attraversato il tetto di paglia mentre dormiva nella sua casa con il suo papà. Per miracolo, credo, non sono venuti al Centro culturale né al Centro di Wotoro dove risiedono trenta ex ragazzi di strada. La mia superiora è rientrata in Italia e adesso sono con tre consorelle centroafricane. Qui è tutto chiuso: scuole, uffici, tribunale, polizia, tutti i prigionieri sono scappati, tante famiglie preferiscono vivere nei campi, le piccole attività economiche dei papà e mamme Kizito sono completamente bloccate. Sappiamo che dovrebbero arrivare le forze armate della Fomac (Unione forze Paesi Africa centrale) per tentare di ristabilire l’ordine e la sicurezza, ma quando arriveranno? Io porto avanti le attività grazie al sostegno che ricevo a piccole gocce dall’Italia, so che c’é qualcosa sul conto, ma la banca è chiusa e lo sarà ancora per molto tempo: una situazione difficile che non sappiamo come potrà evolversi, ma speriamo presto e fortemente in meglio”.
I vescovi di Bangui. A denunciare la “macchina di guerra” messa in moto dalla ribellione Seleka sono stati gli stessi vescovi della Regione di Bangui attraverso una lettera inviata a Michel Djotodia, al potere dal 24 marzo dopo il colpo di Stato. Nella missiva intitolata “Mai più questo, no all’impunità” i vescovi hanno parlato di un “Paese fantasma”, “martoriato da cinque mesi di crisi” e “tutto da ricostruire”; nel loro appello, pur se riconoscono “vere” alcune delle critiche mosse dai ribelli all’ex presidente François Bozizé, accusato di “aver mantenuto la gente nella povertà, senza acqua né luce”, i presuli si interrogano “sulla legittimazione del colpo di forza con il sentimento di oppressione creato dal vecchio regime”. I vescovi, inoltre, hanno condannato le violenze e auspicano la fine dei conflitti. Della crisi centrafricana, oltre allo spiegamento di forze dei francesi, a tutela dei propri connazionali, si sta facendo carico il presidente sudafricano Jacob Zuma e i Paesi della Comunità economica dell’Africa centrale attraverso la creazione di un Fondo speciale per far fronte all’emergenza. A condannare le violenze sono intervenute anche le Nazioni Unite.
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