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Salone del libro di Torino

Di M.Michela Nicolais

“La fede è il più grande movimento creativo”, in un percorso che si snoda dallo “stupore del visibile” alla “ricerca dell’invisibile”. All’interno del tema generale, “Dove osano le idee”, è questo l’itinerario scelto quest’anno dall’Associazione Sant’Anselmo, su incarico del Progetto Culturale della Conferenza episcopale italiana, per l’edizione 2013 del Salone internazionale del Libro di Torino. Ne parliamo conAndrea Gianni, responsabile dell’Associazione, spigolando tra le proposte dello stand, organizzato in collaborazione con l’arcidiocesi di Torino, l’Unione editori e librai cattolici italiani, il Consorzio editoria cattolica, l’Associazione bibliotecari ecclesiastici italiani. La prime due iniziative, nella giornata iniziale della kermesse torinese, sono state la presentazione di “La porta stretta”, il volume che raccoglie le prolusioni del cardinale Angelo Bagnasco nel suo primo quinquennio di presidenza della Cei, e il dialogo a due voci tra monsignor Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Nuova evangelizzazione, e la scrittrice Maria Pia Veladiano, sul tema “A che cosa serve la fede?”.

La fede è “andare oltre”. La questione della fede, la novità introdotta dal Concilio Vaticano II e il tema della libertà religiosa, in relazione all’Editto di Costantino, di cui ricorrono i 1700 anni. Sono i tre pilastri attorno ai quali si snoda il tema della “creatività della fede”, che – ci spiega Gianni – “non è mai un patrimonio acquisito una volta per tutte, ma trasforma la vita e ci spinge a continuare a cercare, ad andare oltre anche dopo aver trovato”. Se ne parla durante l’incontro su “Il mio libro della fede”, il referendum promosso dalla trasmissione di RaiUno “A sua immagine”, e nelle presentazioni dei libri di Benedetto XVI e di Papa Francesco, ma anche in un incontro che presenterà gli scritti inediti del cardinale Michele Pellegrino e in un altro dedicato alla Beata Maria degli Angeli, molto popolare a Torino e nel Piemonte, “una carmelitana informatissima sull’attualità – ci racconta Gianni – e che grazie alla sua impronta mistica e alle sue preghiere è riuscita a far finire la guerra con la Francia, proprio nel giorno per cui lei aveva intensamente pregato che finisse”.

Mafia, punto e a capo. Un dibattito con gli studenti delle scuole superiori, con l’intervento di una “boy band” molto seguita soprattutto dagli adolescenti: i Sohnora. È l’incontro che prende spunto dal libro di Massimo Savastano, “La mafia ha paura di te”: un viaggio dal Nord al Sud per dimostrare – ma soprattutto per imparare dagli occhi dei ragazzi – che la mafia non è invincibile, come ha dimostrato don Pino Puglisi, sulla cui esperienza di “primo martire della mafia” qui a Torino, sempre allo spazio Sant’Anselmo, sono stati presentati due volumi. “Non so quanto sia credibile un insegnante del Nord che va a parlare di mafia a degli studenti del Sud”, scrive Savastano: “Ma almeno so di averlo fatto perché ci credo. Credo alla verità che la mafia non è imbattibile. E credo nella forza delle parole, non parole a vuoto ma parole performative, una per una, in grado di smuovere le coscienze”. Così, da Shakespeare, che era convinto che “le colpe, anche se mute, parlano, parlano in qualche modo prodigioso”, si arriva a Ligabue: “Ho perso le parole/eppure ce le avevo qua un attimo fa/dovevo dire cose, cose che sai/che ti dovevo, che ti dovrei”. Canzone dedicata, dall’autore, agli alunni dell’Istituto Majorana di Gela. “Eccomi davanti ai ragazzi del Majorana di Gela. Non mi sento accolto in sala ma dentro i loro occhi. Occhi sospettosi. Occhi accoglienti. Occhi attenti. Occhi in ascolto. Tocca a me”. Erano stati loro a scrivere sul gruppo di Facebook del libro precedente di Savastano, “Il sangue non sporca i giusti”: “Grazie per l’incontro di questa mattina. Ci ha fatto sentire tutti un po’ meno soli… Lei ha ragione quando afferma che si può e si deve sconfiggere la mafia. Mi spieghi però come è possibile che la mia famiglia debba lasciare la Sicilia, dato che i miei genitori non ce la fanno più con la loro attività commerciale, costretti come sono a pagare il pizzo”. Occhi che prendono l’iniziativa. Occhi esigenti. Occhi che chiedono una risposta.

Laicità come “stile di vita”. “Credere è reato?” recita, in modo volutamente provocatorio, il libro a cura di Luigi Berzano, oggetto di un incontro su “Libertà religiosa e vera laicità”. Sottotitolo: “Libertà religiosa nello Stato laico e nella società aperta”. “Da tema politico tipicamente moderno – scrive il giurista Francesco D’Agostino in uno dei contributi raccolti nel volume – quello della libertà religiosa si trasforma nell’epoca postmoderna in tema antropologico”, e in questa prospettiva “va considerata, prima ancora che un diritto civile, un’istanza fondamentale”. “La laicità – puntualizza il sociologo Sergio Belardinelli – non è soltanto un modo di concepire i rapporti tra Stato e Chiesa, ma uno stile di pensiero, uno stile di vita ispirato certo alla fermezza delle proprie convinzioni, ma soprattutto al rispetto e all’apertura nei confronti delle convinzioni, delle ragioni e della religione degli altri. È di questa laicità che abbiamo bisogno per consentire un pacifico pluralismo”.