“Dentro la modernità e presso i suoi limiti avanzati, la crisi del mondo di cui una certa etica fu lo spirito lascia apparire la possibilità di una civitas di cui la liturgia eucaristica è un presidio”. È l’ammonimento lanciato da Luca Diotallevi, docente di sociologia all’Università di Roma Tre, a conclusione del volume “La pretesa. Quale rapporto tra Vangelo e ordine sociale?” edito dalla Rubbettino. Nella ricorrenza dei 1.700 anni dalla firma dell’Editto di Milano e in concomitanza dell’incontro sul tema che si tiene ad Istanbul per iniziativa del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli con il Consiglio delle Conferenze episcopali europee, il Sir lo ha intervistato.
A quasi due millenni dall’imperatore Costantino, come si declina oggi il tema della libertà religiosa?
“La modernità ci offre due modelli di separazione assai differenti tra potere politico e religioso: quello della laicità e quello della libertà religiosa. Con la laicità si ha un confinamento della religione nel privato. Con la libertà religiosa, invece, assistiamo ad una richiesta alla religione di viversi anche pubblicamente perché, soltanto in questo caso, è impossibile che lo spazio pubblico sia dominato esclusivamente da un altro potere. La laicità è funzionale allo Stato, la libertà religiosa è funzionale alla limitazione del potere della politica”.
Un insegnamento che viene dal Concilio…
“A 50 anni dal Vaticano II, comprendiamo bene quello che ci ha detto Benedetto XVI. Il cuore, l’esempio tipico della capacità di riforma nella continuità di cui il Concilio è stato capace risiede proprio nel decreto sulla libertà religiosa. Mezzo secolo fa la Chiesa scelse per il modello della libertà religiosa e contro la laicità. Allora perché oggi una fetta del mondo ecclesiale, sia ecclesiastico che laicale, sostiene il paradigma della laicità? Forse perché le istituzioni ecclesiastiche hanno trovato un apparente sistema di accomodamento con lo Stato ma, in questo modo, svendono una parte del loro potenziale spirituale e civilizzante. Il cristianesimo, abitando la città, la mantiene aperta e libera dal primato di un solo potere, politico o economico”.
Quali sono le condizioni per la sussistenza della libertà religiosa?
“Sono due e solo apparentemente contraddittorie: la prima è che io rispetti la coscienza dell’altro persino quando sbaglia in materia religiosa. La seconda è che io sia persuaso che la mia convinzione religiosa non è una opinione ma una verità assoluta. Solo nel cristianesimo si ha la combinazione di questo paradosso. Chi segue Gesù è convinto che la sua sia la verità ma questa verità lo obbliga a non fare uso della forza per imporre comportamenti che siano non liberamente scelti dalla coscienza. Questo è il miracolo che il Vaticano II ha recuperato dalla grande tradizione della Chiesa, dopo una lunga eclissi”.
Eppure il principio di laicità è ancora diffuso in Europa, spesso come alternativa alla libertà religiosa…
“Vediamo combattersi due modelli di libertà religiosa. L’uno subalterno alla laicità, come il caso francese del velo o della croce: dentro si può vivere la propria fede ma fuori non si deve far trapelare nulla. L’altro di istituzione pubblica: solo se anche i credenti e le Chiese manifestano in ogni campo della vita sociale il loro essere cristiani, impediscono ad un potere di occupare la società e lasciano liberi gli altri. Naturalmente fatto salvo il principio dell’ordine pubblico, perché in nome della religione non si possono distruggere i diritti degli altri. Il dualismo tra libertà religiosa e laicità è una lotta interna all’Europa: Paesi come Gran Bretagna, Olanda, Polonia e Italia hanno nella loro storia e nella loro Costituzione l’opzione per la libertà religiosa. Altri Paesi come la Francia sono invece paladini della laicità, che è un modello rifiutato dalla nostra Costituzione dove non ricorre né la parola né l’istituzione”.
Martirio, guerre di religione, questioni sociali. Quella della libertà religiosa è una vexata questio che divide ancora i Paesi…
“La libertà religiosa è un’emergenza planetaria e lo sarà sempre perché la religione è scomoda. Credo che oggi sia utile, oltre che ricordare le situazioni di vero e proprio martirio, anche la gravità del combattimento contro la libertà religiosa che si volge nelle società avanzate. La povertà dell’Europa continentale, la sua difficoltà nasce anche dal fatto che le società si sono impoverite perché lo Stato ha preteso di fare tutto. La ricchezza di una società come quella americana o britannica proviene invece dall’apertura della società. I cattolici, nell’Europa continentale, sono anche responsabili di non lottare abbastanza per la libertà religiosa che porta anche un vantaggio alla vita dell’intera città. L’eucaristia, come ricordava un giovane Joseph Ratzinger, serve alla città perché la mantiene aperta”.
Tra laicità e libertà religiosa, qual è lo spazio dei laici cattolici nella politica?
“Lo spazio e il bisogno della presenza cattolica sono grandissimi. I due storici nemici dell’impegno pubblico cattolico sono per un verso l’integralismo e il clericalismo, pensarsi in politica come la longa manus di qualche ecclesiastico. Una posizione condannata ripetutamente dalla Chiesa che, tuttavia, ancora è ricorrente. Per altro verso, la tentazione di fare gli indipendenti in partiti nei quali non si conta nulla. Questo dà sicuramente vantaggi economici ma rende sterili. I cattolici che vogliono fare politica devono aggregarsi: facciano uno o due partiti e puntino a concorrere alla leadership, non ad uno strapuntino. Resta ancora grandiosa la lezione di Sturzo e De Gasperi, rispetto alla quale tutto è arretramento”.