Papa Francesco, attira le folle e pungola, spinge tutta la Chiesa, ma più in generale tutti verso Cristo.
C’è una parola, una parolina, l’unica pronunciata nella sua lingua madre, per chiarire la prospettiva del Papa, che assicura: “Il Signore sempre ci primerea”. Questa parola ci spiega che ci sono due cammini che s’incontrano, il nostro che cerca Cristo e Cristo, che ci cercava da prima, è già lì ad aspettarci. “È il primo che ci viene incontro”, in qualche modo ci anticipa, anche se presuppone il nostro cammino. C’è poi una seconda immagine, quella della porta, che il Papa ha riproposto con convinzione. “Il Signore sta alla porta”, constata. “Allora dobbiamo aprirle le porte, quelle del nostro cuore come quelle delle nostre Chiese”, ripete Papa Francesco.
“Il Signore sempre ci primerea”, ha detto parlando con passione a braccio a una folla immensa alla veglia di Pentecoste. È il terzo grande raduno dei movimenti e delle associazioni, quindici anni dopo la convocazione di Giovanni Paolo II del 1998, riproposta da Benedetto XVI nel 2006. Centocinquanta sigle, segno di una vitalità sempre nuova, che deve sempre essere meglio articolata. Per questo ha indicato, nell’omelia di Pentecoste, tre parole-chiave: novità, armonia, missione. Indicazioni aperte e stringenti, che sono esortazione, esame di coscienza, programma.
A proposito di associazioni e movimenti sembra lontano il tempo di conflitti, che restano una tentazione. Oggi con tutta evidenza è il tempo dell’evangelizzazione, per cui la varietà diventa una risorsa, vissuta nella comunione: “Se ci lasciamo guidare dallo Spirito, la ricchezza, la varietà, la diversità non diventano mai conflitto, perché Egli ci spinge a vivere la varietà nella comunione della Chiesa”. Così si può essere capaci di novità e nello stesso tempo efficaci nella testimonianza, anche se il Papa è ben consapevole che molto c’è da fare per evitare tanti riflessi di chiusura.
Questo vale soprattutto in questo tempo di crisi.
Anche a Pentecoste il Papa ha avuto parole chiare e forti sulle ingiustizie e la povertà. Ed ha insistito sulla grande questione che sta sotto la crisi. “È una crisi dell’uomo, per questo è una crisi profonda”, ha ripetuto nella Veglia. Per questo bisogna denunciare quello che i suoi predecessori avrebbero definito l’“errore antropologico”. Papa Francesco lo descrive citando un antico midrash, per cui costruendo la torre di Babele contavano di più i mattoni che le vite degli operai. E oggi non è diverso, anche se non si parla più di mattoni, ma di finanza. Di qui ancora l’invito pressante a uscire, ad aprire le porte: “Lo Spirito Santo ci fa vedere l’orizzonte e ci spinge fino alle periferie esistenziali per annunciare la vita di Gesù Cristo. Chiediamoci se abbiamo la tendenza di chiuderci in noi stessi, nel nostro gruppo, o se lasciamo che lo Spirito Santo ci apra alla missione”.
Semplice, chiaro, coinvolgente. È Papa Francesco, che parla con franchezza e mette tutti in cammino. Dando l’esempio. Anche per questo è molto difficile obiettargli alcunché. E restare fermi.