DIOCESI – Franco Pittau è coordinatore del Dossier statistico Immigrazione della Caritas/Migrantes che da oltre vent’anni aggiorna, attraverso i diversi dati d’archivio, sulla situazione dell’immigrazione in Italia nei sui svariati aspetti, da quelli socio-econimici, a quelli culturali, giuridici e religiosi. Rappresenta lo studio di riferimento per comprendere e conoscere l’immigrazione oggi. Pittau è intervenuto sabato 25 maggio all’incontro organizzato dall’Anolf e dall’Ambito Sociale 21 sull’immigrazione oggi e il ruolo delle associazioni nel processo di integrazione, che si è svolto presso il Centro Polivalente Immigrazione della provincia. Una ricca giornata di interventi e di festa, con pranzo espressione delle diverse provenienze e momenti di canti e balli di diverse culture. Abbiamo rivolto a Pittau alcune domande.
A che punto è l’immigrazione oggi in Italia? Come sono i flussi?
Noi abbiamo in Italia una popolazione regolare tra i 4 e 5 milioni, è un po’ difficile stabilirlo con più precisione perché ci sono archivi differenti. I flussi, rispetto al passato, sono diminuiti perché l’Italia è in crisi, ci sono tanti italiani e immigrati disoccupati però un certo flusso è per lavoro ridotto, per ricongiungimento familiare continua. Da questo punto di vista la crisi ha generato un rallentamento. Però il rallentamento più grosso che si riscontra in Italia è quello dell’atteggiamento rispetto all’immigrazione. Noi siamo un grande paese di immigrazione però la popolazione almeno in parte non ha ancora preso coscienza che il fenomeno dell’immigrazione ci accompagnerà nel futuro in misura sempre più consistente .
Se c’è un rallentamento nell’integrazione e nell’accoglienza qual è il ruolo sociale, delle associazioni e del volontariato, e il ruolo della politica?
C’è un ruolo e una responsabilità politica e noi sappiamo quanto i partiti siano stati controversi nei confronti dell’immigrazione rispetto a delle leggi, che di per se sono accettabili anche ultimamente
C’è un ruolo dei media perchè la colpa non è tutta loro, ma senz’altro l’immigrazione viene solitamente presentata con toni negativi, con cronaca nera. C’è la responsabilità sociale e di ciò si parla poco, sia dei singoli cittadini perché uno dipende da che cosa pensa può influire o meno sulla società perché ogni persona è un moltiplicatore. Sia dei cittadini associati, quindi associazionismo e volontariato, perché non è che non si sia fatto perché sarebbe ingeneroso, però la maniera che noi abbiamo di comunicare nel sociale alla politica e agli operatori della comunicazione, non sempre è efficiente perché se la base fosse concorde nel presentare l’immigrazione come risorsa probabilmente anche la stampa e anche le decisioni politiche e degli amministratori sarebbero state differenti.
Manca la capacità di fare rete per essere una voce significativa?
In effetti c’è troppa contrapposizione però questo dipende da effetti di educazione per blocchi, per blocchi laici, per blocchi religiosi, troppo volte siamo stati chiusi nella sacrestia, altri in certe ideologie, perché bisognerebbe pensare che quando abbiamo gli obiettivi comuni siamo compagni di strada perché andiamo verso lo stesso senso, e non ci hanno abituato molto alla condivisione e questo è un grave difetto. Siamo stati dal punto di vista educazionale molto divisi per blocchi.
Qual è la capacità delle associazioni ecclesiali di rapportarsi con il territorio?
Pensare che come diceva un vecchio canto che ci hanno insegnato dove “c’è carità e amore c’è Cristo”, non c’è sempre bisogno di fare una predica basta fare le opere buone che si è già incamminati verso questo grande obiettivo che ci ha dato Gesù, e da questo lasciamo fare a Dio il suo mestiere che è quello delle conversioni, nell’intimo parla solo Dio.
Qualche anticipazione del nuovo dossier Immigrazione della Caritas
Una delle cose più importanti consiste nel vedere se la crisi sta continuando a fare effetti così disastrosi come nel 2011 e questo è molto grave. L’altra cosa, che mi incuriosisce molto, è che tanti hanno cominciato a dire che gli immigrati se ne vanno, per l’esperienza che ho fatto e per quello che ho studiato, non è così! Mi sono incuriosito e ho guardato tra il 2010 e 2011, confrontando degli archivi, e non è vero che gli immigrati siano diminuiti, perché in Italia va male, ma nei paesi di origine va molto peggio. Noi abbiamo chiesto a molti della Romania che ci hanno detto che tutto sommato qua se c’è uno che lavora si rimane qui. Forse quello di dire che se ne stanno andando è un nostro desiderio più che una fotografia della realtà. Come anche dire che le donne immigrate non servono più perché le donne italiane vogliono fare le domestiche, anche questo non è vero. Tra il 2009 e il 2012 abbiamo 40mila donne italiane che si sono inserite, che è una cosa buona tutti i lavoro sono dignitosi, ma nello stesso tempo solo con le regolarizzazioni abbiamo avuto 400mila donne straniere. Quindi prima le donne italiane incidevano per un sesto ora incidono per un decimo. Ci sono questi luoghi comuni che vengono ripetuti acriticamente.
Cosa ha significato sia per gli immigrati sia per gli autoctoni la presenza al ministero dell’Integrazione della ministra Kyenge?
La Germania che è un paese che non credeva nell’integrazione fino agli inizi di questo secolo, quando ci sono stai campionati mondiali di calcio ha presentato la sua squadra con orgoglio fatta di tante persone di origine differenti. Insistendo con orgoglio sulla multietnicità. Noi siamo un popolo a metà che non sa prendere decisioni. Abbiamo espressioni bellissime di volontariato della chiesa di organizzazioni laiche, che vanno nel senso della convivenza e ne abbiamo molte altre che non sono poche, perché più o meno l’Italia è divisa in due, che fanno resistenza. È stata una scelta profetica, un segno dei tempi la scelta del ministro Kyenge, visto che ci sono all’incirca un quarto di africani tra i cittadini stranieri, scegliere una donna africana. È stata qualificata come una scelta insipiente, hanno detto delle cose veramente brutte, l’hanno proprio terrorizzata, e uno deve avere la libertà di presentare il suo punto di vista sulla convivenza da nuova italiana. Io vorrei dire ai miei concittadini noi abbiamo da dire tanto come cittadini italiani, ma non possiamo fare anche la parte dei nuovi cittadini, perciò ben venga uno che ci dice anche la parte che noi non possiamo dire. È un confronto e un complemento, sarebbe come dire che uno è nello stesso tempo tutte le cose, ognuno ha un ruolo, noi italiani siamo i padroni di casa e abbiamo l’obbligo dell’accoglienza. Però un nuovo cittadino ci può dire delle cose che non conosciamo bene.
Nell’incontro di stamane è uscita quest’idea chiave, noi abbiamo avuto in un secolo e mezzo 30 milioni di emigrati in tutti i paesi del mondo che sono stati molto apprezzati per la loro volontà di riuscire, erano magari analfabeti nel giro di due generazioni avevano il figlio magari alla corte costituzionale o in grandi posti dir responsabilità. Questa voglia di affermarsi. Noi abbiamo gli immigrati che hanno questa voglia di affermarsi, noi italiani siamo diventati un po’ imbambolati un po’ tiepidini, dobbiamo lasciarci contaminare da questa voglia di riuscire insieme perché allora l’Italia riprenderà!