Di Fabio Zavattaro

Concluso il tempo di Pasqua con la Pentecoste, la festa della santissima Trinità ci riporta al tempo ordinario, per farci riflettere sulle persone del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Noi siamo soliti parlare semplicemente, genericamente di Dio. Ma il Dio che conosciamo, ricorda Papa Francesco all’Angelus “non è qualcosa di vago, il nostro Dio non è un Dio spray, è concreto, non è un astratto, ma ha un nome: Dio è amore. Non è un amore sentimentale, emotivo”.
Dio è amore. E proprio in nome di questo amore don Pino Puglisi ha scelto di aiutare i ragazzi del quartiere palermitano di Brancaccio, “educando i ragazzi secondo il Vangelo li sottraeva alla malavita, e così questa ha cercato di sconfiggerlo uccidendolo. In realtà, però, è lui che ha vinto, con Cristo risorto”.
Alla memoria tornano le parole, l’anatema, di Papa Wojtyla nella Valle dei Templi di Agrigento, venti anni fa, il 9 maggio; parla di tante sofferenze vissute dal popolo siciliano, di pace, concordia, Giovanni Paolo II. Rivolgendosi ai mafiosi, nel nome di Cristo via, verità e vita, grida: “convertitevi. Una volta verrà il giudizio di Dio”.
Così Francesco, ad una piazza san Pietro affollata, ricorda la beatificazione del parroco di Brancaccio, avvenuta sabato 25 maggio, e dice: “Penso a tanti dolori di uomini e donne, anche di bambini, che sono sfruttati da tante mafie, che li sfruttano facendo fare loro un lavoro che li rende schiavi, con la prostituzione, con tante pressioni sociali. Dietro a questi sfruttamenti, dietro a queste schiavitù, ci sono mafie. Preghiamo il Signore perché converta il cuore di queste persone. Non possono fare questo! Non possono fare di noi, fratelli, schiavi! Dobbiamo pregare il Signore! Preghiamo perché questi mafiosi e queste mafiose si convertano a Dio”.
È stato ucciso il 15 settembre del 1993, Puglisi, ma “quella mano assassina ha amplificato oltre lo spazio e il tempo la sua delicata voce sacerdotale – ha detto nell’omelia della beatificazione il cardinale Paolo Romeo, arcivescovo di Palermo – e lo ha donato martire non solo a Brancaccio, non solo a Palermo e alla Sicilia, ma al mondo intero”. È stato ucciso, perché costruttore di pace e di giustizia, come Rosario Livatino, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino.
Dio è amore. Lo ha ribadito anche nel suo primo incontro domenicale Papa Francesco, quando si è soffermato a parlare con i bambini della prima comunione nella parrocchia romana dei santi Elisabetta e Zaccaria. Una parrocchia la più lontana della diocesi; ma se la chiesa deve andare verso le periferie, allora qui siamo in pole position, dice il parroco don Ambarus Benoni, romano e rumeno come lui stesso sottolinea al Papa. L’ultima parrocchia partendo dal centro, ma anche la prima quando si entra a Roma. Così Francesco può chiamare don Ambarus “prima sentinella” e dire che la realtà si capisce meglio non dal centro ma dalle periferie.
Quarantaquattro bambini hanno ricevuto l’eucaristia dalle mani del Papa. Con loro allaccia un dialogo fatto di domande e di risposte sulla fede e sulla Trinità. Chiede ai ragazzi “quanti Dio ci sono? Uno? Ma a me hanno detto che ce ne sono tre: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo! Come si spiega questo?”. I ragazzi sono ben preparati e per nulla intimoriti, rispondono in coro: “forte, forte! Va bene quella. Sono tre in uno, tre persone in uno”, conferma loro il Papa. Dialogo che occupa più della metà dell’omelia di Francesco; chiede: cosa fa il Padre, cosa il Figlio e lo Spirito Santo? Poi sintetizza così: “tutti i bambini insieme: il Padre crea tutti, crea il mondo; Gesù ci salva; e lo Spirito Santo? Ci ama! E questa è la vita cristiana: parlare con il Padre, parlare con il Figlio e parlare con lo Spirito Santo”.
Infine una battuta forse pensando alla stracittadina del pomeriggio allo stadio Olimpico: “Gesù ci ha salvato, ma anche cammina con noi nella vita. È vero questo? E come cammina? Che cosa fa quando cammina con noi nella vita? Questo è difficile. Chi la sa vince il derby”.

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