Giovanni XXIII voleva essere sepolto nella basilica di San Giovanni in Laterano. La rivelazione, nel 50° della morte, avvenuta poco prima delle 20 del 3 giugno 1963, è del segretario del Papa, monsignor Loris Capovilla e riportata dallo storico Marco Roncalli – presidente della Fondazione Giovanni XXIII – sulle pagine di Bergamo del “Corriere della Sera”. “Questa carità come opera di misericordia mi permetto di chiedere – scriveva il Papa in un appunto – perché il mio tenue ricordo rimanga a San Giovanni, a segno di protezione e di benedizione precipua sopra la diocesi di Roma”. Giovanni XXIII, afferma mons. Capovilla, “immaginò che le sue spoglie potessero riposare per sempre là, presso l’arcibasilica che è madre di tutte le chiese di Roma e del mondo”. Dal 2001 la tomba di Papa Roncalli si trova nella basilica di San Pietro sotto l’altare di San Girolamo ed è meta di un continuo pellegrinaggio. A Marco Roncalli il Sir ha posto alcune domande.
Oggi anche Papa Francesco si unirà al pellegrinaggio di circa 2000 bergamaschi nella basilica di San Pietro…
“L’udienza di Papa Bergoglio rappresenta un segno di grande attenzione alla diocesi di Bergamo e un omaggio alla terra che ha dato i natali al beato Giovanni XXIII, il Papa amato da tantissime persone, anche non credenti, ancora oggi. Di lui si vanno sottolineando anche diverse analogie, forse non solo nello stile, con Papa Francesco. Si vedano certi accenti sul primato come servizio, l’opzione preferenziale per i poveri, la misericordia”.
Qual è l’attualità del messaggio di Papa Roncalli?
“È attuale l’impegno per il dialogo, il cammino ecumenico, l’unità dell’intera famiglia umana oltre che l’invito ad un profondo rinnovamento della Chiesa. Credo abbia mantenuto tutto il suo vigore il leit motiv del cammino di ‘un fratello divenuto padre per volontà di Nostro Signore”, come lui diceva di sé, che invitava a ‘cogliere quello che ci unisce e non quello che divide’. Non è questione di buonismo, sentimentalismo, di retorica: anche se a lungo Giovanni XXIII è stato presentato solo con l’etichetta riduttiva del Papa buono, capace tutt’al più di mandare carezze ai bambini. Oggi, soprattutto in tempi di crisi, ci rendiamo conto di cosa significa camminare insieme nella speranza, nella solidarietà, sforzandoci di guardare più lontano possibile, ovunque si possa condividere la fatica di vivere e di credere. Ovviamente, il Concilio, valida bussola del nostro tempo, e la Pacem in terris sono suoi grandi doni”.
Quali sono state le ultime parole di Giovanni XXIII?
“Fra tante parole riportate in centinaia di biografie ricorderei quelle lasciate al fedele segretario mons. Capovilla. Poco prima del congedo gli disse: ‘Ora più che mai, certo più che nei secoli passati, siamo intesi a servire l’uomo in quanto tale e non solo i cattolici; a difendere anzitutto e dovunque i diritti della persona umana e non solamente quelli della Chiesa cattolica. Non è il Vangelo che cambia: siamo noi che cominciamo a comprenderlo meglio’”.
Dopo di lui cinque Papi…
“Cinque Papi ed almeno tre generazioni. Ma è restato un affetto che vive nel cuore di tanta gente. Non sono pochi i devoti, gente di ogni ceto e di ogni Paese, che vanno a cercare qualche segno di lui nel suo paese natale a Sotto il Monte o sostano innanzi alla teca che in San Pietro ne custodisce le spoglie intatte. O, più semplicemente, lo ricordano nel loro cuore, gli si rivolgono come ad un amico, ne rileggono scritti spirituali di grande valore come il suo ‘Giornale dell’anima’. Un culto il suo, che, senza che ci siano state spinte particolari, è sempre vivo”.
Giovanni XXIII qualche mese prima di morire aveva firmato l’enciclica Pacem in Terris. È l’eredità che lascia alla Chiesa e al mondo…
“Da quel documento, nato di fatto dopo l’appello per così dire risolutivo durante la crisi di Cuba, ci separa mezzo secolo nel quale tante cose sono cambiate e tuttavia lì possiamo trovare qualcosa di importante: l’idea che ogni guerra è qualcosa di alienum a ratione, la distinzione fra l’errore e l’errante, e che l’errante è sempre ed anzitutto un essere umano e conserva, in ogni caso, la sua dignità di persona; il riconoscimento dei diritti umani. È un’enciclica ancora valida e, direi, profetica che precorre la globalizzazione e indica l’elaborazione del concetto di bene comune in un orizzonte mondiale”.
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