Di Alberto Campaleoni
C’è qualcosa di profondamente inquietante nel ripetersi di fatti di cronaca che hanno come protagonisti adolescenti, che si tolgono la vita o cercano di farlo. Ragazzi e ragazze che vorremmo pieni di forza ed entusiasmo e invece scopriamo quasi arresi di fronte a situazioni che reputano insopportabili, al punto di rifiutare la vita stessa.
Nei giorni scorsi è tornata sotto i riflettori la vicenda di Carolina, quattordicenne di Novara che si è uccisa a gennaio perché perseguitata da alcuni coetanei sui social network (coetanei che ora sono indagati). “Con la gente – ha lasciato scritto Carolina proprio su Facebook – ho già avuto troppa pazienza.
Non voglio più perdere tempo”.
Qualche tempo prima della tragica fine di Carolina un quindicenne a Roma si era impiccato in casa perché deriso sempre sul web, accusato di essere omosessuale. E pochi giorni fa un sedicenne si è buttato dalla finestra della scuola, a Roma, per motivi simili. È ancora vivo, per fortuna.
“Mi sento oppresso, non ce la faccio più”, ha scritto alla mamma.
Difficile entrare nello specifico dei singoli casi, che naturalmente hanno profili unici.
Ci sono però aspetti comuni, che fanno riflettere.
Il primo è il peso fortissimo, determinante, del “giudizio” altrui.
Gli adolescenti, si sa, sono in cerca di identità, in fuga dalle rassicuranti definizioni familiari che li hanno accompagnati nella crescita dalla fanciullezza, bisognosi di autonomia e di un volto nuovo, di camminare con le proprie gambe… Il gruppo dei pari diventa sempre più importante, i volti e le parole degli “amici” sono lo specchio di sé, l’aggancio con la realtà, i riferimenti per cercare la strada. È un meccanismo di sempre. Non facile. Oggi sembra in certi casi che i nostri ragazzi siano meno “attrezzati” a sopportare gli alti e i bassi dell’ottovolante, le discese e le salite ripidissime. Sembrano proprio fragili, sempre più fragili.
C’è poi da considerare l’amplificazione e la trasformazione delle relazioni che si realizza attraverso i nuovi media, i social network, l’allargarsi del mondo impalpabile ma “realissimo” del web. Un mondo che chiede nuove competenze a chi lo frequenta, peraltro spesso con grande ingenuità, e che nello stesso tempo presenta rischi tutti nuovi rispetto al passato.
Un rischio di cui si parla spesso è quello, ad esempio, del cyber bullismo, piaga vera e crescente. Secondo i dati della polizia postale, nei primi 4 mesi del 2013 sono state 54 le denunce in proposito: in tutto il 2012 erano state solo 30. Nei casi di tragedie cui abbiamo accennato, la dimensione del web è sempre stata importante. E certo oggi quel “gruppo dei pari” che un tempo si ritrovava nelle piazze e sui muretti, frequenta le bacheche virtuali, col risultato di ampliare a dismisura attese e aspettative, grida e risate, con effetti talvolta devastanti.
Per questi ambienti servono attenzioni nuove, una “cura” specialissima da parte degli educatori (tanti sono già in prima linea, a cominciare dalle scuole).
E sono proprio gli educatori, ancora una volta, a sentirsi chiamati in causa di fronte alle tante fragilità così manifeste dei nostri ragazzi. Chiamati a far respirare loro il gusto di una “vita buona”, che guardi al futuro con speranza, capace di spingere oltre le difficoltà e le frustrazioni. Chiamati a fare quadrato, con amore (e consapevolezza strategica), intorno alle generazioni più giovani, perché nessuno si senta lasciato solo e abbia a dire di essere stanco e di non farcela più.