Per le strade di Mosca la miseria più evidente è quella dei senza tetto. Le ultime stime parlano di 100mila persone alla deriva nella città. Sono di varie nazionalità e condizioni: i “barboni”, al gradino più basso, sporchi, puzzolenti, rifiutati da tutti; poi i “senza tetto”, persone dignitose, con il problema enorme dell’alcool: disoccupati, arrivano a Mosca dalle province a cercare lavoro e non trovandolo, iniziano a bere e la loro situazione peggiora. Dopo un po’ di tempo che vivono per la strada, nasce una sorta di “dipendenza” da questa strana forma di libertà e nessuno ha più potere su di loro. Sono persone sradicate, sole, senza più sicurezze. Un’altra percentuale consistente sono le persone malate di mente o le persone anziane, le nonne di 70 anni e più che girano con il loro bastone, già sorde e malandate.
Tanta solidarietà. In mezzo a questo fiume di miseria si muovono alcune realtà cattoliche e ortodosse per cercare di offrire un’assistenza minima, come fanno suor Paola e suor Annamaria del Movimento contemplativo missionario di Cuneo. Per anni avevano accolto queste persone in uno scantinato, dove offrivano un pasto caldo. “Nel settembre scorso ci hanno mandate via, dicendo che l’edificio apparteneva all’esattoria e che dovevano ristrutturarlo; ma adesso abbiamo capito che non ne potevano più dei nostri barboni”. Anche alle suore di Madre Teresa hanno fatto abbattere l’edificio in cui accoglievano i barboni, con il pretesto che non era in regola con le norme di sicurezza. Ora le suore accolgono i barboni a casa loro in piccoli gruppetti, per non dare fastidio agli abitanti del quartiere. C’è anche la comunità di Cosma e Damiano, dove aveva vissuto e lavorato il sacerdote ortodosso Aleksandr Men’, assassinato nel 1990: due volte alla settimana la sua comunità offre da mangiare, in chiesa, a 300 persone.
Sulle piazze nel gelo moscovita. A Mosca ci sono 9 stazioni ferroviarie. Varie organizzazioni, religiose e non, distribuiscono cibo a giorni e orari prestabiliti, arrivando con macchine o furgoncini carichi di thè caldo, pane, minestra. Così anche le due suore italiane, nell’attesa di trovare una nuova collocazione per la loro mensa, a ottobre hanno deciso di andare alla stazione Kurskaja: “Siamo andate con 20 panini nello zaino; era il primo giorno di freddo (zero gradi), e abbiamo girato un’ora e mezza per strada a cercare le persone”. Un grosso problema è che ora nelle stazioni e nella metropolitana i poveri non possono più entrare: ci sono molti poliziotti e guardie che controllano rigorosamente. “Abbiamo comprato un bicchiere di thè per due persone che tremavano per il freddo e le abbiamo accompagnate all’interno perché potessero bere al riparo, ma immediatamente si è avvicinata una guardia che ci ha mandati via senza complimenti. ‘Che vita veramente da cani, anzi peggio dei cani”, mi ha detto uno di loro: i cani che si scaldano in metrò non vengono cacciati via”. Così, per tutto l’inverno sr. Paola e sr. Annamaria si sono messe sulla piazza, vicino alla stazione. Al giovedì alla Kurskaja, al venerdì alla Kievskaja. Distribuiscono panini, dolci e indumenti insieme ad Andrej, della chiesa evangelica, che arriva in macchina con minestra calda (circa 50 litri) e caffelatte. Appena compare la macchina, tutti si radunano intorno; sono sempre 100-120. Andrej fa una breve preghiera di benedizione e ringraziamento poi distribuisce il cibo insieme ai volontari. “Stare immobili o quasi, con la temperatura a meno venticinque gradi, per un’ora e mezza è veramente impegnativo, ma è la vita dei nostri poveri! Qualcuno arrivava così intirizzito da non riuscire a tenere il bicchiere in mano. Quando tutti i termos e i borsoni sono vuoti, si conclude con un’altra preghiera di ringraziamento e ci si dà appuntamento per la settimana seguente”.
Non c’è posto per loro. Racconta Anna Maria: “Sono tanti i volti di persone che incontro per strada, anonime creature che non presentano al mondo il loro lato migliore perché coperte da uno strato di sventure, di sfortune, di limiti o di colpe ereditate che pesano e tirano giù la vita fino al suo livello più basso, la sopravvivenza giorno dopo giorno, senza un domani. Ma quando ci guardiamo, ci parliamo e le nostre umanità s’incontrano così, semplicemente nel gesto di porgere un panino o un uovo tiepido, nel chiedersi come va, nel condividere per un momento la stessa strada, lo stesso freddo… ecco che allora brilla qualcosa che non fa luce all’esterno ma che senti nel cuore”. Sergej dà una mano a portare le borse pesanti, poi raccoglie tutte le carte e i contenitori che gli altri buttano per terra; non ha casa e dorme all’aeroporto, dove ormai lo conoscono e lo lasciano in pace; Nikolaj, più anziano, sempre col giaccone mimetico e il berretto degli Omon forse per la nostalgia dell’esercito, da anni vive per strada a causa di un conflitto con i figli. Natasha, morta l’undici febbraio, dormiva sotto la pensilina del treno sempre con un cagnolino vicino, era alcolizzata e in pochi anni si è bruciata del tutto. Anche lei accoglieva ogni venerdì le suore con grande affetto e gioia. È stata la Comunità di sant’Egidio con enormi fatiche e spese a farsi carico di tutto, dal riconoscimento della salma ai documenti, a un funerale dignitoso. Continuano a bussare a tutte le porte, sr. Paola e sr. Annamaria, alla ricerca di un posto al caldo per accogliere i loro barboni, ma sembra proprio che non ci sia posto per loro in nessun luogo.
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