Naim in ebraico significa la deliziosa. Ed è proprio nel villaggio di Naim che accade un fatto straordinario: un ragazzo viene resuscitato dalla morte, da Gesù.
Nel racconto di Luca è espresso al massimo il concetto di gratuità: il desiderio di una madre che diventa preghiera silenziosa, accolta e trasformata in gesto di amore. È la forza della misericordia di Dio; della compassione che spinge Gesù a parlare e ad agire. Compassione che significa letteralmente “soffrire con”, assumere il dolore dell’altra persona, identificarsi con lei, sentire con lei il dolore. La misericordia di Dio dà vita all’uomo, lo risuscita dalla morte, ricorda Papa Francesco all’Angelus, in questa seconda domenica di giugno, un mese tradizionalmente dedicato al cuore di Gesù, “massima espressione umana dell’amore divino”. La pietà popolare valorizza molto i simboli “e il cuore di Gesù è il simbolo per eccellenza della misericordia di Dio; ma non è un simbolo immaginario, è un simbolo reale, che rappresenta il centro, la fonte da cui è sgorgata la salvezza per l’umanità intera”.
Don Tonino Bello amava spesso ricordare che come credenti, ma anche come non credenti, non abbiamo più i segni del potere, però abbiamo ancora il potere dei segni. Ciò che accade a Naim è uno dei segni più alti: “Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro, prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore”, scrive Matteo nel suo Vangelo.
Un altro segno lo racconta Giovanni, quando, sul monte Calvario, il soldato ha trafitto con la lancia il costato di Gesù: “Da quella ferita – ricorda Papa Francesco – uscirono sangue e acqua. Giovanni riconobbe in quel segno, apparentemente casuale, il compimento delle profezie”; dal cuore di Gesù scaturisce per tutti gli uomini il perdono e la vita.
La misericordia di Dio è forza che dà vita, che risuscita l’uomo. A Naim s’incontrano due processioni: una gioiosa, i discepoli che seguono Gesù che arriva alle porte del villaggio della Galilea; l’altra triste, un gruppo di uomini e donne seguono una vedova che sta accompagnando alla sepoltura il suo figlio unico. Vita e morte l’una di fronte all’altra. Non sappiamo come si siano svolti esattamente i fatti, però sappiamo che c’è stato un segno che ha cambiato il percorso della storia: le lacrime che rigavano il volto della donna e che Gesù ha colto: “Vedendola – scrive Luca nel suo Vangelo – il Signore fu preso da grande compassione per lei”.
Commenta Papa Francesco: “Questa compassione è l’amore di Dio per l’uomo, è la misericordia, cioè l’atteggiamento di Dio a contatto con la miseria umana, con la nostra indigenza, con la nostra sofferenza, la nostra angoscia”. E aggiunge che il termine biblico compassione richiama le viscere materne: “La madre, infatti, prova una reazione tutta sua di fronte al dolore dei figli. Così ci ama Dio, dice la Scrittura”. Lo sguardo di compassione di Dio si posa sull’uomo ed è più forte del peccato, della morte; ha, appunto, la forza dell’amore di una madre per il proprio figlio. E il frutto di questo amore è proprio la vita.
Ritorniamo a Naim e alla vedova. Quelle sue lacrime hanno colpito subito Gesù che le dice: “Non piangere”. Poi si avvicina alla bara e la tocca mentre i portatori si fermano: “Poi chiamò il ragazzo morto e lo risvegliò come da un sonno”. Scrive l’evangelista: “Il morto si mise seduto e cominciò a parlare. Ed egli lo restituì a sua madre”. La misericordia di Dio “dà vita all’uomo, lo risuscita dalla morte”, commenta Papa Francesco che c’invita a non avere timore di avvicinarci a lui perché “il Signore ci guarda sempre con misericordia, ci attende con misericordia”, e se gli mostriamo “le nostre ferite interiori, i nostri peccati, sempre ci perdona. È pura misericordia”. Con Maria, anche noi dobbiamo essere miti, umili e misericordiosi con i nostri fratelli. Perché lei, il suo cuore di madre, ricorda Papa Francesco, ha condiviso al massimo la compassione di Dio, specialmente nell’ora della passione e morte di Gesù.