Che in fondo racchiudono un unico tema che è la diffusione del Vangelo nel mondo attuale. Ma se i confini dell’annuncio sono i bordi della terra, allora è legittimo parlare di evangelizzazioni.
Non è una variazione soltanto lessicale, non è un appendersi alle parole.
Il suggerimento viene ancora una volta da Papa Francesco quando si è definito un cristiano preso dalla “fine della terra”. Perché qual è il problema? Riuscire a pensare, a credere, ad agire in termini insieme locali e universali. Per dirla con un filosofo J.Habermas, con il quale è entrato in dialogo anche Benedetto XVI, occorre un fondamento universale da costruirsi nella solidarietà del comunicare.
Ora la Chiesa in tutta la sua preghiera liturgica, nella sua coscienza pentecostale si pensa da sempre, esperimenta da duemila anni questa straordinaria appartenenza al mondo perché sa di appartenere, anche nei suoi limiti, al Cristo salvatore universale. Nell’azione degli ultimi pontificati questo abbraccio di tutto il mondo, ben significato dai due bracci del colonnato del Bernini, è diventato concreto, è diventato presenza, solidarietà verso altre Chiese, voce di popoli oppressi, megafono di un bisogno d’incontro tra le religioni.
È stata e continua a essere un’evangelizzazione di prossimità senza limiti, senza confini appunto. Eppure nell’unità di un solo credo, di un solo Dio, la Chiesa va cercando la lingua di tutti i popoli, delle grandi civiltà dell’universo. Ecco l’evangelizzazione si trasforma in “evangelizzazioni”.
La sfida è talmente oltre le forze umane della comunità cristiana che torna urgente la costante sottolineatura di Papa Francesco. “Le tecniche sono certo importanti, ma neppure le più perfette potrebbero sostituire l’azione discreta ma efficace” dello Spirito. Come dire che l’evangelizzazione nasce dalla spiritualità non dalle strutture; che ha la sua “fons et culmen”, per ricordare la “Sacrosanctum Concilium”, nella liturgia. E ciò in linea con le osservazioni del Papa – semplificando giornalisticamente – su Pietro che non ebbe una banca. Insomma davanti non vanno poste le energie umane ma i suggerimenti dello Spirito.
C’è bisogno d’invenzione per le “nuove evangelizzazioni”. È umano pianificarle, formare e organizzare persone e strutture in funzione di esse. Ma i grandi piani della Chiesa non possono che fidarsi dell’inventore per eccellenza: lo Spirito. Un san Francesco o un sant’Antonio o una Madre Teresa non sono stati disegnati da mano di uomo, ma dalla mano creatrice di Dio.
Il che non è una semplificazione ma una lucida constatazione storica. Torna, dunque, la domanda su quali evangelizzazioni per i popoli del mondo che vivono un’epoca di straordinaria convergenza ma nella difesa della loro identità. Soprattutto perché quella mirabile convergenza non sia soltanto globalizzazione economica, finanziaria, produttiva, consumistica.
Il mondo dei popoli accorsi il giorno di Pentecoste per ascoltare gli apostoli è davvero plurale. Sommariamente esemplificando, il cristianesimo parla prima il semitico, poi il greco, il latino e, infine, tutte le lingue. Ma esprimersi nelle diverse lingue non è ancora incarnare la fede nelle culture, nelle identità dei popoli cosicché accogliendo Cristo non si sentano espropriati del proprio sé, del proprio volto. Le evangelizzazioni abbisognano di un sant’Agostino, di un San Basilio, di un Tommaso d’Aquino: diversi nelle culture, identici nella fede. Tante evangelizzazioni nell’unica evangelizzazione.