Di Alberto Campaleoni
DIOCESI – Siamo arrivati anche quest’anno all’esame di maturità. Comincia con il rito tradizionale della “prima prova”, quella d’italiano.
Poi ci sono la seconda, la terza… e i colloqui orali.
Uno “spauracchio” dilazionato nel tempo, poiché tra la prova d’italiano e l’interrogazione davanti alla commissione d’esame possono passare le settimane.
Naturalmente scandite da ansia – quella che non fa dormire –, studio “matto e disperatissimo” alla Leopardi, recuperi record rispetto a quel che non si è fatto durante l’anno, speranze e momenti cupi, esaltazione e depressione.
Mille le ricette “per affrontare gli esami”, per superare lo stress emotivo: ci si mettono anche i giornali e le televisioni a dispensare consigli.
Anche quelli sulla dieta.
Per arrivare nella migliore condizione alla prova. E poi ci sono, come ogni anno, le “fughe in avanti”, i tentativi di indovinare i temi d’esame, le versioni di latino o di greco.
Ci sono, anche, i mille espedienti per cercare di fare i furbi, forse più “letterari” che reali. Anche questi, però, fanno la “maturità”, un esame che col nome stesso indica una condizione esistenziale, un passaggio, una tappa/traguardo decisivo.
Viene da pensare a tutto questo guardando i ragazzi e le ragazze – i figli nostri e degli altri – che in questi giorni si stanno preparando, cercando anzitutto in loro stessi il senso di una “fatica” non sempre facile da metabolizzare.
Una fatica cui non di rado si è poco abituati, perché oggi gli esami – e i passaggi – si tende a rinviarli se non evitarli. C’è sempre un buon motivo per aggirare gli ostacoli, per ammorbidire le difficoltà.
Quante volte gli adulti si mettono in campo direttamente per “dare una mano”, per “evitare le frustrazioni” ai più giovani, immaginandoli deboli e non di rado alimentando le fragilità.
Eppure i giovani hanno tante risorse e metterle alla prova – anche con la maturità – è una cosa importante oltre che un loro diritto prima che un dovere.
“Gli esami non finiscono mai”, recita un adagio famoso, che sembra annunciare così un tormentone pericoloso, quasi una minaccia.
Ma il vero guaio è quando gli esami “non finiscono”, ma “non cominciano” mai. Quando mancano le occasioni per sperimentare quello che si vale, per provare a farcela, per conoscer meglio se stessi e gli altri.
Anche questo è il senso della maturità: misurarsi una volta di più e in modo “ufficiale”, rituale anche. Come avviene in altro modo un po’ in tutte le società, a marcare l’ingresso nell’età adulta. E piace pensare che il percorso scolastico – così ricco di passaggi nel suo lungo dipanarsi – riesca pian piano ad abilitare ogni ragazzo e ragazza – aiutati da guide sapienti e preparate – ad affrontare non solo questo passaggio “finale”, ma la dimensione stessa del cambiamento, che comporta misura, giudizio. Con coraggio e consapevolezza di sé.
Forza ragazzi!
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