Le altre lettere copernicane
Esattamente un anno dopo dall’invio della lettera a Benedetto Castelli Galilei iniziò ad essere attaccato, stavolta da parte ecclesiastica: Il frate domenicano Tommaso Caccini si scaglia contro lateoria copernicana ripresa e proposta da Galilei durante una predica nella Chiesa di Santa Maria Novella a Firenze. Il 7 febbraio 1615 un altro domenicano, Niccolò Lorini denuncia Galilei al Cardinale Paolo Camillo Sfrondati prefetto della Congregazione dell’Indice, allegando la lettera a Benedetto Castelli: un documento privato e confidenziale come può essere una lettera, diventerà il capo d’accusa per lo scienziato pisano.
Risale al 16 febbraio del 1615 la seconda lettera copernicana: Galileo Galilei la invia all’amico e referendario apostolico Pietro Dini accludendo la lettera che precedentemente aveva inviato a Benedetto Castelli. La missiva conteneva una accorata denuncia nella quale si rendeva nota al prelato una campagna diffamatoria messa in atto con la complicità di alcuni padri domenicani nei suoi confronti. Galilei raccomandò a Pietro Dini di far pressione su padre Cristoforo Grienberger, professore di matematica nel Collegio Romano, e di far giungere al card. R. Bellarmino le prove della sua ortodossia religiosa. Rinnovò per questo l’invito a rileggere la teoria copernicana, ricordando che l’autore stesso, settanta anni prima, aveva dedicato la sua opera a Paolo III.
La terza lettera copernicana fu inviata da Galilei allo stesso precedente destinatario. Lo scienziato pisano cercava in questo suo ultimo scritto di spiegare in chiave copernicana un passo del salmo 18
È in questo fitto scambio epistolare fra l’illustre scienziato e gli uomini di cultura del suo tempo che si inserisce anche un prezioso documento che ci fa ben comprendere le preoccupazioni degli uomini di chiesa di quel tempo. Stiamo parlando della lettera del Cardinale Roberto Bellarmino al padre carmelitano Paolo Antonio Foscarini. L’alto prelato invita il religioso carmelitano e Galilei ad accontentarsi di parlare della teoria copernicana come di una ipotesi e non come di una verità certa, come già in precedenza aveva fatto Copernico. Questo perché in assenza di una prova certa della verità della teoria eliocentrica, la Chiesa si doveva attenere, secondo quanto decretato al Concilio di Trento, al senso letterale della Sacra Scrittura e all’unanime insegnamento dei padri della Chiesa. Bellarmino non è però un fanatico ottuso e afferma:
Dico che quando ci fusse vera demostratione che il Sole stia nel centro del mondo e la Terra nel terzo cielo, e che il sole non circonda la terra, ma la terra circonda il sole allhora bisogneria andar con molta consideratione in esplicare le Scritture che paiono contrarie, e piú tosto dire che non l’intendiamo che dire che sia falso quello che si dimostra
Ma questa prova certa a quel tempo mancava: si dovranno aspettare due secoli per affermare con assoluta certezza il moto terrestre col pendolo di Foucault!
Nel giugno del 1615 infine Galilei si rivolge a Cristina di Lorena redigendo la quarta ed ultima lettera copernicana. In essa si legge una massima, spesso erroneamente attribuita a Galileo e proferita invece dal Cardinale Cesare Baronio:
Io direi quello che intesi da persona ecclesiastica costituita in eminentissimo grado (il Cardinale Cesare Baronio appunto) , cioè l’intenzione dello Spirito Santo essere l’insegnarci come si vadia in cielo e non come vadia il cielo
La condanna della teoria copernicana
Il 24 febbraio 1616 i teologi del Sant’Uffizio dichiarano la teoria copernicana stolta in filosofia e formalmente eretica e a seguito di ciò il Papa Urbano VIII incarica il Cardinale Bellarmino di ammonire Galilei e di invitarlo a non insegnare più tale teoria. L’alto prelato porta a compimentoquanto desiderato dal Papa il 26 febbraio. A seguito di questo irrigidimento da parte della chiesa, anche il De revolutionibus orbium coelestium viene messo all’indice il 5 marzo.
La condanna di Galilei
Ignorando il divieto impostogli dal Cardinale Bellarmino, Galilei pubblica a Firenze nel febbraio del 1632 il Dialogo sui due massimi sistemi del mondo, dove fra l’altro sostiene la veridicità del sistema copernicano fondandola erroneamente sul fenomeno delle maree.
Per aver contravvenuto al precedente divieto Galilei viene processato e condannato il 22 giugno 1633 nel convento di Santa Maria Sopra Minerva da un collegio di 10 cardinali di cui 7 si esprimono a favore della condanna e 3 contraro.
Al contrario di quanto comunemente si pensa, Galilei non pronuncia la frase “Eppure di muove”: tale frase ad effetto è stata inventata dallo scrittore Giuseppe Baretti nel 1757. Ma non è questo l’unico luogo comune sul caso Galilei. Scriveva infatti negli anni ’90 il giornalista Vittorio Messori che, stando a un’inchiesta voluta dal Consiglio d’Europa e che ha coinvolto un campione di studenti di materie scientifiche di tutta l’unione europea, il 30 % crede che Galileo Galilei sia stato condannato al rogo dalla chiesa, il 97% infine è convinto comunque che egli abbia subito torture durante il processo.
Il Tribunale del Sant’Uffizio invece lo condannò alla carcerazione che venne commutata il giorno dopo la sua condanna in un soggiorno obbligato presso l’Ambasciata Toscana a Roma. Gli fu poi concesso di trasferirsi, con l’obbligo di rimanervi, a Siena presso la residenza dell’arcivescovo Piccolomini. Dopo sei mesi il Papa Urbano VIII concesse a Galilei di tornare nella sua villa di Arcetri, vicino Firenze, dove gli fu comunque proibito di avere incontri. Galilei si spense l’8 gennaio 1641, 8 anni dopo essere stato condannato dal Sant’Uffizio.