“La famiglia è una scuola della vita che viene fatta con la vita, ed è sostenuta dalla vita stessa: in questo modo, la vita diventa ‘cattedra’ di una docenza assolutamente propria della famiglia”. Con queste parole monsignor Enrico Solmi, vescovo di Parma e presidente della Commissione Cei per la famiglia e la vita, commenta il tema del messaggio della Cei per la Giornata del creato, che si celebra il 1° settembre sul tema: “La famiglia educa alla custodia del creato”. Lo abbiamo intervistato.
In che modo la famiglia può educare alla “custodia” del creato?
“Parlare di famiglia significa metterla al centro di tutta una riflessione che, da un lato, riguarda l’agire sociale e l’impegno che la famiglia ha e deve avere nei confronti della società – non a caso sarà la famiglia il tema della prossima Settimana sociale – dall’altra riconoscere alla famiglia il grande compito di custodire e tutelare il creato, sia dal punto di vista educativo che nella fattività di questa custodia. Nella nostra diocesi, ad esempio, siamo stati testimoni quest’anno di disastri ambientali: alcune grosse frane hanno interessato il territorio montano, mettendo in difficoltà molte famiglie. Si è trattato di disastri non dovuti al disamore della natura, ma di carattere strutturale. In casi come questi, la presenza della famiglia nel territorio montano è la prima tutela del territorio: sono le famiglie che, oltre che sostenerlo, possono tutelarlo nella sua stabilità e fluidità. In questa prospettiva, la famiglia si trova al centro sia della riflessione di carattere sociale nei confronti del bene comune, sia riguardo alla capacità di custodire il creato, abitandolo e diventandone essa stessa la tutela”.
“Ecologia umana” e “ecologia ambientale” sono strettamente legate, come ha ribadito di recente Papa Francesco. Come raccogliere il suo invito a dire no alla “cultura dello scarto”?
“Già dal suo insediamento, Papa Francesco ha ribadito il valore della ‘custodia’, parlando di San Giuseppe, capo della famiglia di Nazareth e sottolineando fortemente il valore del bene, nella concezione della terra come nutrimento. L’affermazione di Papa Francesco per cui ‘chi spreca ruba’, rimarca una verità. Sottolinea quello che le famiglie cercano di fare educando i ragazzi a consumare con intelligenza e a non dare adito a nessuno spreco. La famiglia saggia, al ‘grazie per aver consumato’, sostituisce il monito ‘attenzione a quello che consumi’. È una testimonianza controcorrente, ma che va nella direzione giusta”.
“Gratuità” è una delle parole-chiave del messaggio: si può ancora insegnare, oggi, la logica del dono?
“La gratuità è la logica della famiglia: si ‘fa famiglia’ perché si vuole farsi dono l’uno all’altro. Il dono reciproco degli sposi è l’espressione storica che lega l’uomo e la donna: il figlio stesso è un ‘dono al dono’, come scrive Giovanni Paolo II in uno dei messaggi per la Giornata della famiglia. La logica del dono non è legata all’interesse, ma al godere di qualcosa che vedo e che colgo: il significato del bello, il valore gratuito dato dal contemplare il creato… L’atteggiamento di gratuità diventa a sua volta dono: se qualcosa mi rende felice, mi spinge a volere che anche altri possano goderne”.
“Reciprocità”, si legge nel messaggio, significa allenarsi a “relazioni buone”: le famiglie di oggi sono questo tipo di palestra?
“La reciprocità, nella famiglia, diventa unità, ma non è mai uniformità: l’altro che è diverso da me, se è accolto e mi adopero per la sua realizzazione, porta una ricchezza indispensabile. La famiglia insegna a riconoscere l’altro come persona che mi sta di fronte: in primo luogo nell’alterità sessuale, ma poi nelle storie diverse che si vivono all’interno della famiglia, e che ci insegnano a cogliere il valore dell’importanza che l’altro esista, a godere di ciò che mi viene offerto e che suscita in me stupore e meraviglia”.
Nel creato, la riparazione dal male comporta l’impegno a “risanare le ferite” che il nostro egoismo infligge alla terra. Famiglia, dunque, come antidoto alla violenza e viatico per la “convivenza fraterna”?
“La famiglia è il luogo del perdono, dalla riconciliazione, e anche dell’amarsi da peccatori, accogliendo se stessi e l’altro nel proprio limite. Questo ‘riparare le ferite’ esce dai confini della famiglia: dobbiamo fare pace con il creato, anche attraverso la capacità di conversione, di tornare indietro, di ricondurre la terra alla dimensione precedente alle ferite inferte. Un impegno che ha dimensioni mondiali e universali, questo, ma che richiede anche la cura delle piccole cose: risistemare un giardino, fare attenzione agli sprechi e ai rifiuti, cose che si imparano in famiglia da piccoli ma di cui si porta il profumo per tutta la vita. E che non bisogna mai disgiungere dal destinatario finale: i segni della presenza di Dio nel creato. Altrimenti, si rischia di cadere in quell’idolatria che fa del creato un assoluto”.