“Tre pensieri sul ministero petrino, guidati dal verbo confermare”.
Li ha offerti, stamattina, Papa Francesco, nell’omelia della messa nella basilica vaticana, in occasione della festa dei patroni della Chiesa di Roma, Pietro e Paolo, messa durante la quale ha imposto a 35 nuovi metropoliti, 34 presenti più uno rimasto nella sua sede, il pallio, “segno della comunione con il vescovo di Roma”. “Una festa – ha sottolineato il Pontefice – resa più gioiosa per la presenza di vescovi da tutto il mondo. Una grande ricchezza che ci fa rivivere in un certo modo l’evento di Pentecoste”. Oggi come allora, ha precisato, “la fede della Chiesa parla in tutte le lingue e vuole unire i popoli in un’unica famiglia”. Un saluto con gratitudine alla delegazione del patriarcato di Costantinopoli, guidata dal metropolita di Pergamo Ioannis, e un “grazie speciale” al ThomanerChor della Thomaskirche di Lipsia, la chiesa di Bach, che ha animato la liturgia e ha costituito “un’ulteriore presenza ecumenica”. Ma in che cosa è chiamato a confermare il vescovo di Roma? Anzitutto, “confermare nella fede”. “Il ruolo, il servizio ecclesiale di Pietro – ha spiegato il Santo Padre – ha il suo fondamento nella confessione di fede in Gesù, il Figlio di Dio vivente, resa possibile da una grazia donata dall’alto”.
Nella seconda parte del Vangelo di oggi, ha avvertito Francesco, “vediamo il pericolo di pensare in modo mondano. Quando Gesù parla della sua morte e risurrezione, della strada di Dio che non corrisponde alla strada umana del potere, in Pietro riemergono la carne e il sangue: ‘si mise a rimproverare il Signore: questo non ti accadrà mai’. E Gesù ha una parola dura: ‘Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo’”. Dunque, “quando lasciamo prevalere i nostri pensieri, i nostri sentimenti, la logica del potere umano e non ci lasciamo istruire e guidare dalla fede, da Dio, diventiamo pietra d’inciampo”. Allora, “la fede in Cristo è la luce della nostra vita da cristiani e di ministri nella Chiesa”. La seconda consegna è “confermare nell’amore”, ha detto il Papa, in riferimento alle “commoventi parole di Paolo”: “Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede”. Ma di quale battaglia si tratta? Non “quella delle armi umane che purtroppo insanguina ancora il mondo, ma la battaglia del martirio”. San Paolo “ha un’unica arma: il messaggio di Cristo e il dono di tutta la sua vita per Cristo e per gli altri. Ed è proprio l’esporsi in prima persona, il lasciarsi consumare per il Vangelo, il farsi tutto a tutti, senza risparmiarsi, che lo ha reso credibile e ha edificato la Chiesa”.
“Il vescovo di Roma – ha precisato il Pontefice – è chiamato a vivere e confermare in questo amore verso Cristo e verso tutti senza distinzioni, limiti e barriere”. E non solo il vescovo di Roma: “Tutti voi arcivescovi e vescovi – ha sottolineato il Santo Padre – avete lo stesso compito: lasciarsi consumare per il Vangelo, farsi tutto a tutti, il compito di non risparmiare. Uscire di sé al servizio del santo popolo fedele di Dio”. L’ultimo pensiero offerto riguarda il “confermare nell’unità”. Francesco, soffermandosi sul gesto compiuto oggi, ha notato che il pallio è “simbolo di comunione con il Successore di Pietro, principio e fondamento perpetuo e visibile dell’unità della fede, della comunione”. E, ha aggiunto, “la vostra presenza oggi, cari confratelli, è il segno che la comunione della Chiesa non significa uniformità. Il Vaticano II riferendosi alla struttura gerarchica della Chiesa afferma che il Signore costituì gli apostoli a modo di collegio”, a capo del quale “mise Pietro scelto di mezzo a loro”. Dunque, “confermare nell’unità”. Il Sinodo dei vescovi deve essere “in armonia con il primato. Dobbiamo andare in questa strada della sinodalità, crescere in armonia con il servizio del primato”.
Il Papa ha ricordato che per il Concilio “questo collegio in quanto composto da molti esprime la varietà e universalità del popolo di Dio”. Nella Chiesa “la varietà, che è una grande ricchezza, si fonde sempre nell’armonia dell’unità, come un grande mosaico in cui tutte le tessere concorrono a formare l’unico grande disegno di Dio”. E questo “deve spingere a superare sempre ogni conflitto che ferisce il corpo della Chiesa”. Di qui l’esortazione: “Uniti nelle differenze: non c’è un’altra strada cattolica per unirsi. Questo è lo spirito cattolico, lo spirito cristiano. Unirsi nelle differenze. Questa è la strada di Gesù”. Il pallio, “se è segno della comunione con il vescovo di Roma, con la Chiesa universale, con il Sinodo dei vescovi”, è “anche un impegno per ciascuno di voi – ha dichiarato rivolgendosi ai metropoliti – ad essere strumenti di comunione”. “Confessare il Signore lasciandosi istruire da Dio; consumarsi per amore di Cristo e del suo Vangelo; essere servitori dell’unità. Queste cari fratelli nell’episcopali le consegne che i santi apostoli Pietro e Paolo affidano a ciascuno di noi perché siano vissute da ogni cristiano”, ha concluso il Pontefice.
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