4,7 milioni di volontari, 681mila dipendenti, 270mila lavoratori esterni e 5mila lavoratori temporanei. Sono i “numeri” delle organizzazioni non profit attive in Italia, che nel 2011 risultano 301.191, con un incremento del 26% rispetto al 2001, anno dell’ultima rilevazione sul settore. A censirli è l’Istat, nel 9° Censimento su industria e servizi, istituzioni pubbliche e non profit. Nel tessuto produttivo italiano, il non profit occupa una posizione significativa: il 6,4% delle unità economiche attive. “Numeri rilevanti – commenta Pietro Barbieri, portavoce del Forum nazionale del Terzo Settore – che confermano il peso che il nostro mondo ricopre nel tessuto economico, sociale, culturale e produttivo del nostro paese e che ribadiscono il ruolo importante che ha per la tenuta del Paese, specialmente in questo momento di crisi”. Lo abbiamo intervistato.
In Italia cresce il mondo del non profit: vi risulta?
“Assolutamente sì. Abbiamo piena consapevolezza di una crescita importante e significativa negli ultimi dieci anni, che ormai è stabile nel tempo. Ciò significa che cresce l’impegno dei cittadini a costruire coesione sociale, a perimetrare una nuova umanità, producendo beni relazionali e beni pubblici sociali. Il mondo del terzo settore è sempre stato a servizio delle nuove opportunità sociali, ad esempio nel campo della sostenibilità, dell’educazione dei giovani, della cooperazione internazionale. Tutti settori dove il terzo settore agisce quotidianamente, utilizzando le capacità che i cittadini sono in grado di esprimere. In questo modo, si realizza compiutamente ciò che prescrive la nostra Costituzione nell’ultimo comma dell’articolo 118, che parla di sussidiarietà orizzontale”.
Chi sono i vostri “addetti ai lavori”? Esiste un identikit trasversale che accomuna i diversi ambiti di impegno?
“Direi che tutti coloro che operano in questo ambito sono espressione di una cittadinanza attiva, partecipe. Sono caratterizzati dalla mancanza della sensazione di indifferenza rispetto agli ambiti in cui si vive, al contesto sociale, economico, politico. L’impegno del terzo settore nasce da un’esigenza di innovazione sociale che, ad esempio, non si limita a gestire solo la fase dell’emergenza, ma cerca una via d’uscita a tutte le situazioni di disagio. A questo si aggiunge l’idea forte dell’interdipendenza dei popoli e delle nazioni, che è appunto il contrario dell’indifferenza. Gli operatori del terzo settore non si relazionano soltanto con la comunità che abitano, ma con il contesto internazionale, con la globalizzazione sostenibile dei diritti”.
La crisi in cui versa l’Italia ha come conseguenza una serie di pesanti tagli alla spesa sociale. Quali sono i vostri settori di maggior sofferenza e quali le richieste più urgenti a cui il governo dovrebbe rispondere?
“Il ‘cahier de doléances’ sarebbe lungo. In primo luogo c’è la questione della tassazione: al di là della questione dell’Imu, se dal 1°gennaio l’Iva per le cooperative sociali passerà dal 4 al 10 per cento, si avranno grossi tagli nelle prestazioni, con un danno anche verso il privato, perché le famiglie saranno costrette a pagare molto di più per i servizi erogati. Anche i Fondi sociali sono stati drammaticamente tagliati, mentre andrebbero ripristinati per raggiungere almeno un livello dignitoso”.
Un livello di spesa dignitoso andrebbe assicurato anche rispetto all’Europa a 15 con cui ci confrontiamo.
“Sicuramente questo è un punto dolente: lo Stato assorbe quasi il 50% della ricchezza prodotta, e siamo agli ultimi posti in Europa – quella a 27 – in materia di lotta alla povertà o alla disabilità. C’è poi la sostenibilità del creato, un ambito in cui il terzo settore è già da tempo mobilitato, a partire dalla questione dei rifiuti. Infine, il tema dell’educazione: i giovani sono il nostro futuro, che dovrebbe essere un luogo abitabile in maniera diversa dal passato, concepito dalla generazioni che li hanno preceduti solo in termini di riduzione di costi e di compressione della capacità di azione che il nostro sistema potrebbe mettere in campo”.
Sono appena finiti gli esami di maturità: consiglierebbe ad un giovane di “puntare” sul terzo settore?
“Impegnarsi nel terzo settore significa scegliere uno spazio di sviluppo, sia del volontariato che del lavoro nel sociale, sicuramente più soddisfacente rispetto ad altre professioni ‘di routine’. La presenza di giovani nel non profit è già una realtà, ma è un dato che va riproposto, soprattutto perché, in organizzazioni grandi, medio o piccole, c’è spazio per l’innovazione e per i contributi originali”.