Questi piccoli software personalizzati (nel gergo si chiamano “app”) che si scaricano sul telefonino e sui tablet sono al centro di un giro d’affari mondiale con numeri impressionanti. Il merito dell’invenzione spetta a Steve Jobs. Fu infatti la Apple ad aprire, il 10 luglio del 2008, il primo “App Store”. Da allora, dicono gli esperti, il numero delle app è aumentato con una progressione vertiginosa. Erano solo cinquecento all’inizio, sono diventate quasi novecentomila. Il mercato globale si è prontamente attrezzato e sono ormai centinaia di migliaia le applicazioni che si possono usare anche con i telefoni di altre marche. Sono tantissime inoltre (ma è impossibile tenerne il conto) le applicazioni di carattere religioso, in tutte le lingue e per tutte le diverse confessioni.
Un giro di affari miliardario. Nel 2008, quando venne aperto, il primo negozio online aveva solo 500 app sulle proprie vetrine virtuali. Cinque anni dopo ce ne sono 850mila, di cui 350mila realizzate apposta per i tablet. Il fenomeno riguarda i possessori del miliardo e mezzo di smartphone venduti nel mondo. Ogni mese le applicazioni più vendute vengono “scaricate” quasi cinque miliardi di volte. I software vengono realizzati da società indipendenti di tutto il mondo e, nel caso della Apple, ricevono il 30% dei guadagni derivanti dalla vendita. In occasione del quinto compleanno è stato annunciato un dividendo record complessivo di 10 miliardi di dollari per gli sviluppatori.
Guadagni per pochi. La gigantesca torta però alla fine è spartita fra un numero molto piccolo di “happy few”. “Le motivazioni sono sempre le solite”, dice un blogger italiano, Marco Grigis. “Per ottenere un effettivo guadagno su App Store, è necessario posizionarsi almeno nella Top 50 fra i software a pagamento, un prerequisito che richiede almeno 12mila dollari di vendite ogni giorno”, spiega. “In un simile contesto, al netto del rilascio di applicazioni geniali improvvisamente diventate virali, è facile capire come piccoli sviluppatori o i casual developer non abbiano molto spazio per affermarsi: sembra proprio che il destino dello sviluppatore amatoriale, o comunque privo di grandi risorse economiche, sia il silente oblio”.
Le applicazioni zombie. La metà di questi software sono “zombie”, come dicono i tecnici: sono presenti nell’offerta online ma non sono mai stati “scaricati” da nessuno. Ben 579.001 applicazioni su 888.856 disponibili ad oggi sono praticamente ignorate dall’utente. La scoperta è stata resa pubblica da Adeven, una società d’analisi che ha seguito i download di App Store nel tempo, stabilendo così quali applicazioni siano le più gettonate e quali, invece, del tutto ignorate dall’utente.
Pregare con il telefonino. In questo contesto l’analisi delle applicazioni a carattere religioso diventa problematico. Innanzi tutto per l’abbondanza dell’offerta. Sui negozi online si trova di tutto. La chiave di ricerca “religion” propone più di 2.500 risultati diversi. Le applicazioni dedicate al Papa sono circa 250. “Vatican.va” è l’app del sito ufficiale della Santa Sede ed è stata realizzata dal Servizio internet del Vaticano. Una su migliaia. Se si digita la parola inglese “pray” (pregare) nell’apposita stringa di ricerca, emergono quasi mille risultati. E così via. Fra i realizzatori ci sono alcuni ordini religiosi ma anche e soprattutto illustri sconosciuti. Il “mercato” di riferimento preso in considerazione riguarda tutte le confessioni mondiali. Il Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali intanto ha pubblicato una propria app che si chiama “The Pope App”. Anche la Conferenza episcopale italiana ha la propria applicazione “I-Cei” che “offre l’accesso alle notizie sulla vita della Chiesa italiana, all’Almanacco liturgico e all’archivio completo dei documenti Cei”.