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Conosciamo l’Associazione Medici Cattolici

DIOCESI – Iniziamo una nuova rubrica per conoscere meglio le realtà laicali che operano in diocesi, abbiamo intervistato il dottor Alfredo Fioroni presidente della nostra sezione della “Associazione Medici Cattolici Italiani” (AMCI).

Qual è il carisma della vostra associazione e in quali attività si concretizza?
Lo statuto dell’AMCI  (consultabile cliccando qui)  chiarisce molto bene gli scopi dell’Associazione, tra gli altri val la pena di ricordare l’impegno nella  formazione permanente dei medici in ambito spirituale, etico e morale su temi scientifici e professionali, nel promuovere gli studi di etica in medicina , nell’animare lo spirito di autentico servizio umano e cristiano dei medici nel rapporto con l’ammalato e i suoi familiari.

Più in generale però,  ritengo che essere Medico ed in particolare Medico Cattolico rappresenti un impegno di vita. Il nostro impegno deve essere  per i pazienti e tra i pazienti e le loro famiglie. Penso che dovremmo essere riconoscibili dal nostro comportamento, più che da un cartellino di riconoscimento o dall’iscrizione ad una pur benemerita associazione.  Lavorare in una piccola realtà come la nostra   per certi versi ci facilita ma per altri ci richiama ad una maggiore coerenza. Medici ed operatori sanitari si conoscono, lavorano insieme, condividono pazienti e percorsi di cura, il controllo sociale è alto  e verificabili sono  i comportamenti. Atteggiamenti autoindulgenti ed autoreferenziali,  comodi  alibi legati a luoghi comuni offerti dalla  crisi economica, millantate disponibilità e dedizione,  sono facilmente individuati ed il giudizio è severo.  Chi si spende, chi è coerente è riconoscibile e questo è un bene.

Pur nelle difficoltà del momento posso testimoniare che c’è tra di noi, Medici ospedalieri e territoriali,  la volontà di realizzare una squadra allargata ma coesa,  che faccia  percepire ai nostri pazienti  una  rete virtuosa  basata su professionalità, amicizia,  onestà intellettuale e carità cristiana capace di rendere  le cure più umane ed efficaci . Quando in quello che facciamo, i pazienti riescono a leggere un segno della Divina Provvidenza; quando andando oltre il mero atto professionale, trasmettiamo loro la Speranza in un Dio che è Padre e sul cui amore non possiamo dubitare, siamo dei buoni Medici Cattolici.  Dobbiamo però essere assolutamente consapevoli del fatto che ci sono degli errori che non si possono commettere se ci si vuole distinguere, se si vuole affermare con forza la propria identità e la propria appartenenza: “Non chi dice Signore, Signore entrerà nel regno dei Cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio……” . Da medici è bello pensare a San Giuseppe Moscati come ad un maestro di Professione e di vita, il suo fulgido esempio, pur  irraggiungibile, dovrebbe far crescere in noi un esaltante orgoglio di appartenenza.

Come siete organizzati? Quanti associati ci sono attualmente in diocesi e in regione?
La Sezione AMCI di San Benedetto del Tronto ha attraversato diverse fasi storiche.  La generazione di medici che ci ha preceduto, che ha fondato la Sezione sambenedettese, ha interpretato e vissuto l’AMCI, coerentemente con il proprio tempo, come un’associazione che permetteva  loro di ritrovarsi insieme nei momenti salienti dell’anno liturgico, di celebrare insieme la Messa, di organizzare momenti di ricreazione e di svago con gite e pellegrinaggi. La nostra generazione si è trovata davanti ad un quotidiano confronto con tematiche e problematiche emergenti, dalla bioetica all’ingegneria genetica, dalla manipolazione dell’embrione al testamento biologico, dal problema delle risorse per la sanità, fino alle sfide poste da biotecnologie e medicina predittiva. Questo ci ha reso consapevoli di quanto fosse necessario per l’AMCI evolvere e maturare verso una forma di associazione che sapesse darsi uno statuto culturale diverso. Le nuove tematiche vedevano il mondo sanitario in prima fila nella responsabilità di trovare una risposta e una soluzione autenticamente cristiane. A tutto ciò si è aggiunta un’altra esigenza, quella per cui l’aderente ad una associazione cattolica doveva mostrare una corrispondenza trasparente e rigorosa tra i principi cui si ispira e la vita che conduce, in un tempo che, come ebbe a dire papa Paolo VI, “..ha più bisogno di testimoni che di maestri”.

Il mondo sanitario cattolico locale doveva poter offrire risposte autorevoli e convincenti alle domande più impellenti che la scienza e la tecnica pongono ogni giorno, e doveva poterlo fare con noi, con persone conosciute e volti non anonimi, con persone che svolgono attività sanitaria nella comunità e non demandare questa testimonianza  a qualche personaggio più o meno famoso ma lontano e televisivo. Questo non significava escludere l’organizzazione da momenti culturali in cui invitare qualche autorevole e noto personaggio da fuori. Significava invece disporsi a saperlo adeguatamente accogliere, a favorirne l’ascolto, insomma a lavorare bene il terreno che è stato affidato alle nostre mani.

Per realizzare questa nuova forma di AMCI, abbiamo pensato che fosse indispensabile una riorganizzazione della attività associativa:
1. Poter contare su di un Consiglio Direttivo, autentica spina dorsale dell’associazione, costituito da poche persone che assumessero la responsabilità di sentirsi, di vedersi, di suddividersi compiti e  impegni, di collaborare in gruppo alla vita dell’AMCI, senza lasciare che tutte queste incombenze gravassero sulle spalle della sola persona del presidente;
2. Incontrarsi almeno una volta al mese, iniziando ogni incontro con un momento di preghiera, facendoci guidare in questo dal nostro assistente ecclesiastico.  Dopo la preghiera iniziare il confronto su temi e argomenti stabiliti di volta in volta, sulla scorta di una programmazione annuale, fornendo a tutti la possibilità di esprimersi e contribuire alla discussione;
3. Accogliere tra noi non solo medici, ma anche altre figure del mondo sanitario, come biologi, psicologi, farmacisti, infermieri, fisioterapisti, tecnici, amministrativi di ambito sanitario ecc. Tutti con pari dignità.  Nella convinzione che ciò che ci distingue e ci identifica nei ruoli professionali non deve tuttavia separarci;
4.        Prestare attenzione ai  giovani medici. Per essere attrattivi rispetto ai giovani occorreva aprirsi ad attività concrete di solidarietà, di missionarietà, di servizio medico ai poveri.
La riorganizzazione della nostra associazione ha portato ad un migliorato clima ed ad una accresciuta propositività tra i colleghi riguardo a nuove iniziative, argomenti ed occasioni di approfondimento. Concrete esperienze di fratellanza, condivisione, partecipazione hanno determinato una crescita progressiva degli iscritti.  Attualmente, in assoluta controtendenza rispetto ai dati regionali e nazionali,  i nostri iscritti sono cresciuti, la nostra sezione è una delle più numerose ed anagraficamente più giovani  delle Marche. In questo senso non posso non ringraziare il nostro Vescovo S.E.R. Mons. Gervasio Gestori, che ci ha sempre spronato e supportato in questo cammino.

Secondo la sua percezione, come viene vissuto all’interno dell’associazione l’attuale momento di crisi e riassetto del settore sanitario?
Viviamo un momento di grande crisi: crisi di valori e crisi economica. Oltre all’impegno personale e diretto sui pazienti, oggi a noi Medici si chiede di far funzionare bene i Servizi. Occorre lavorare con attenzione, ponendo sempre il paziente al centro. Se si ha a cuore il Bene comune dobbiamo credere che “ciò che è giusto è anche conveniente”; l’appropriatezza diventa quindi un obbligo.

Questo è un periodo in cui,  per paura, per convenienza, per cinico pragmatismo o per “opportunità politica”, in tanti ambiti, molti seguono il più forte, il più spregiudicato, chi urla di più. Pochi viceversa, esercitano il discernimento ascoltando chi è solo,  chi è in difficoltà,  povero, sofferente, chi non ha più la forza di gridare, chi non è “socialmente rilevante”.  Noi Medici Cattolici (“liberi di scegliere il Bene” – Menichelli) , dobbiamo essere  tra questi.  Animati da uno spirito cristiano, costantemente impegnati a ricercare il giusto equilibrio tra l’attenzione e le risposte ai bisogni delle persone deboli e la necessaria riorganizzazione imposta dalla crisi economica. Io penso che il “fare squadra” dei Medici Cattolici possa costituire realmente un “ammortizzatore sanitario” rispetto a risorse economiche pubbliche sempre più scarse e rispondere così all’esortazione del Papa emerito Padre Benedetto XVI “ … evitare che la salute, anziché un bene universale da assicurare e difendere, diventi una semplice «merce» sottoposta alle leggi del mercato, quindi un bene riservato a pochi.”

Quali difficoltà avete affrontato e dovete affrontare? Sarà possibile superarle e come?
Avere l’Arcivescovo di Ancona-Osimo S.E.R. Mons. Menichelli  come assistente spirituale nazionale AMCI, conferisce  grande prestigio e rilevanza al nostro territorio. Questa opportunità  deve far crescere il senso di responsabilità delle sezioni marchigiane  e dell’AMCI  regionale e spingerci a trovare le giuste sinergie ed un rinnovato spirito di coesione e fratellanza. Una criticità  importante è quella del tempo, sia per noi che per i nostri pazienti.  Siamo tutti molto impegnati e non è facile trovarsi, collocare le singole riunioni a volte risulta difficoltoso e va sempre concertato. Ogni  medico sa che solo donando del proprio tempo ha la possibilità di ascoltare, di far emergere la soggettività, l’identità personale di chi si trova di fronte, portando avanti una relazione di cura. Oggi non sempre il tempo è nella disponibilità personale del Medico. La programmazione, l’organizzazione, i crescenti carichi di lavoro legati alle carenze di organico, il disservizio a volte prevalgono rispetto alla volontà individuale. A tutela della propria dignità ed a salvaguardia del malato, su questo, ciascuno di noi è chiamato ad una strenua resistenza.

Quale importanza riveste la fede nello svolgimento della professione medica?
Il medico cattolico che si ispira al messaggio di Cristo sa e quotidianamente sperimenta che nel far del bene agli altri si aiuta prima di tutto se stessi, NON si può vivere senza amore. Fatta l’esperienza poi, NON si è più disposti a farne a meno.  Il Cardinal Martini ha scritto “Dio non si può amare che amando gli altri e anche per amare se stessi il solo modo è di rapportarsi agli altri ed amarli” .  Sperimentare nella propria esistenza la fragilità, la debolezza della malattia – direttamente o indirettamente – può permettere di cogliere l’essenza della vita e indicare la forza con cui resistere. Ognuno, in forza della dignità personale, è chiamato a dare senso al dolore per non lasciare spazio nella propria esistenza al non senso ed all’assurdo. Giovanni Paolo II  associava sempre la parola sofferenza alla parola mistero. Egli ha lasciato a medici ed operatori sanitari tre particolari esortazioni:  1) aiutare il malato a scoprire il senso della malattia; 2) considerare sempre il malato come soggetto e mai come oggetto; 3) non avere mai fretta con chi soffre.

Come si affronta la malattia in un’ottica cristiana? Da cosa non si può prescindere nei rapporti con il malato?
Occorre partire dalla consapevolezza della sacralità della vita e della dignità della persona. Se ammettiamo che la persona umana è un soggetto che sussiste in una natura spirituale e materiale, se ammettiamo che in questo senso essa vale in se stessa e per se stessa, che ha quindi un valore assoluto (e non solo per la funzione che può svolgere) ed è un fine, è irripetibilmente unica, possiamo comprendere le modalità con cui dobbiamo porci riguardo al malato, di come un atteggiamento necessariamente empatico e non omologato, sia realmente indispensabile per curare le persone. E’ la relazione che cura. Si può curare una persona solo “ attraverso la fatica dell’incontro, della relazione che deve personalizzarsi e trovare linguaggi particolari per ciascun malato che si ha di fronte”.

Il dott. Mario Melazzini, medico oncologo malato di SLA, che ho conosciuto lo scorso anno ad Ascoli Piceno, suggerisce la formula con cui porsi di fronte alla malattia:  accettare il limite e  fare della propria debolezza la propria forza.  Io non so  se tutte le persone malate o con disabilità arrivino a queste soluzioni, Melazzini sostiene però che c’è un modo per essere facilitati in questo percorso, essere posti al centro. Una persona malata o con disabilità si sente «al centro» quando coglie due segni: lo sguardo,  che non deve mai essere omologato, ma sempre bidirezionale, di intesa, di vicinanza ed il sostegno alla speranza, l’accettare da parte di Medici ed operatori sanitari di essere compagni di viaggio, senza aver paura di spendersi (la visita inattesa, la pazienza, la disponibilità….).  Chi si ferma al limite, chi non si spende, chi si attiene al mansionario, non arriverà ad apprezzare fino in fondo il fascino di questa straordinaria professione. Dobbiamo prenderci cura, esserci sempre, comunicando la verità ma graduandola con l’amore.

Curare, per un riabilitatore come me, significa ragionare in termini di recupero dell’autonomia. A volte l’outcome globale, ossia il grado di autonomia cui quel paziente può aspirare, è una “autonomia modificata”.  Per quello che mi riguarda, sono convinto che nel sostenere le motivazioni, dopo aver delineato un progetto e dei programmi riabilitativi, non dobbiamo aver paura di frasi come “Io non ti abbandono”, “Vedrai che insieme ce la faremo!”.  Papa Francesco ci ha recentemente ricordato che una preghiera coraggiosa, umile e forte, compie miracoli.

Che accoglienza avete come associazione da parte della società e dalle realtà in cui operate?
La nostra è una piccola realtà che si muove con umiltà su di un territorio ampio. Come Presidente, sono solito ripetere nelle nostre riunioni, che il medico cattolico al di là degli obiettivi statutari, si riconosce per professionalità, disponibilità e dedizione nelle corsie d’ospedale, in ambulatorio o a casa dei pazienti. Questi sono i nostri rapporti sociali, penso che le persone ci rispettino e ci vogliano bene.  Riguardo ai vertici della nostra Azienda Sanitaria Area Vasta 5, posso testimoniare che l’attuale Direttore Generale il Dott. Giovanni Stroppa, che è un cattolico praticante,  ha sempre partecipato e supportato le nostre iniziative.

Quali rapporti ha l’associazione con la chiesa e le realtà ecclesiastiche?
Ho partecipato, insieme ad altri colleghi AMCI, al pellegrinaggio UNITALSI  a Lourdes nel Settembre scorso, con l’UNITALSI abbiamo sviluppato una ottima e fruttuosa sinergia.
Alcuni nostri colleghi prestano la loro opera volontaria e gratuita presso gli ambulatori della Caritas Diocesana e presso il Centro Biancazzurro. Riguardo  le altre aggregazioni laicali,  da alcuni mesi abbiamo cominciato ad incontrarci  per conoscerci meglio ed integrare, quando possibile, le nostre iniziative.
Non sempre mi è stato possibile partecipare alle riunioni della Consulta Diocesana, ma posso dire di aver trovato tante persone in gamba piene di iniziativa, lontane dalla ipocrisia, impegnate in una sincera e cordiale accoglienza di fratelli in Cristo, nella profonda consapevolezza che ogni sacrifico fatto per il Bene e con amore è gradito a Dio.

Simone Caffarini:

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  • Caro Dott. Alfredo, amico di vecchia data, meritevole è il vostro impegno , la vostra funzione e il vostro lavoro, ma mi chiedo e ti chiedo, che cosa è possibile fare per quelle persone indigenti e magari malati di tumore che non possono permettersi di pagare una una Risonanza o una TAC e si sentono rispondere per una prenotazione aprile e, forse a questo punto, anche maggio 2014? E' possibile da parte Vostra fare qualche cosa?