Di P.G.C.
GROTTAMMARE – Estinti per estinti, i Pattìni intanto io li ri-chiamerei Mosconi, come una volta. Magari rinascono.
Un nome “popolare”, per l’imbarcazione più rappresentativa del turismo balneare italiano. Chi li inventò non era un grezzo, ci capiva, perché erano davvero opere d’ingegneria e di design.
Li costruivano in piccoli cantieri di sapienti mastri d’ascia, per lo più dalle parti di Rimini e di Ancona, rigorosamente in legno e tutti della stessa misura, neanche si trattasse di una classe olimpica.
Due magri galleggianti (come pàttini da ghiaccio) tenuti insieme da 4 semplici ma solide traverse, che sostenevano la panchetta per il vogatore e il comodo e “fresco” sedile biposto con schienale – tutto a striscioline di legno – per i “passeggeri”; al centro, un’unica comune traversina poggiapiedi (a sezione triangolare).
Due temibili scalmi e due lunghi remi. Stop. Colore unico: azzurro-celeste per l’opera viva e i remi, bianco tutto il resto. Bianco anche il nome dello chalet pitturato alla buona sui galleggianti.
Erano indistruttibili questi mosconi, bastava ristuccarli e riverniciarli ogni due anni. Anche un po’ pesanti certo, ma a nessuno di noi è venuta un’ernia per sollevarli e trascinarli in due in acqua (ah, le esibizioni di agilità e di muscoli…). Ma poi bastava un colpo d’occhio per scegliere il più leggero. 200 lire l’ora.
Per due ore e più li affittavano i ricchi, quando non possedevano quello di famiglia (di un altro colore, già chiamato pattìno, ecco di chi fu la colpa), vigilato che guai a sfiorarlo e a cui toglievano i remi… Di mosconi ce n’erano tanti, più di cento solo a San Benedetto.
A Grottammare minimo quaranta.
Ma nelle ore topiche dovevi prenotarli, litigare col bagnino e pazientare perché stavano tutti in mare.
Un mare pulito col profumo del mare, senza scogliere, dove potevi “navigare” libero in lungo e in largo, dal molo sud a dopo il camping e da riva fino ben oltre la quarta secca, quasi da non veder più gli ombrelloni. Un mare silenzioso e vociante, fitto di mosconi, barchette a vela e a remi, ciambelle gonfiabili e tanta gente che sguazzava nuotava o faceva il morto.
Sapevamo nuotare tutti, senza scuole di nuoto, senza piscine-prigioni.
In mare, grazie ai mosconi, si “comunicava”: si parlava, si giocava, si amoreggiava, si pescava le cozze, si abbordava, si gareggiava, si dormiva, si leggeva, si litigava, si faceva merenda, si pensava, si faceva pipì.
Quando ci si scontrava, scuse sorrisi o… Dei temerari, se di là non c’era Tito sarebbero andati fino in Jugoslavia. Sì, il mare lo si viveva, grazie soprattutto ai mosconi. Solo se volevi affogarti era un problema: c’era sempre uno di loro che ti “salvava”…
Un nome “popolare”, per l’imbarcazione più rappresentativa del turismo balneare italiano. Chi li inventò non era un grezzo, ci capiva, perché erano davvero opere d’ingegneria e di design.
Li costruivano in piccoli cantieri di sapienti mastri d’ascia, per lo più dalle parti di Rimini e di Ancona, rigorosamente in legno e tutti della stessa misura, neanche si trattasse di una classe olimpica.
Due magri galleggianti (come pàttini da ghiaccio) tenuti insieme da 4 semplici ma solide traverse, che sostenevano la panchetta per il vogatore e il comodo e “fresco” sedile biposto con schienale – tutto a striscioline di legno – per i “passeggeri”; al centro, un’unica comune traversina poggiapiedi (a sezione triangolare).
Due temibili scalmi e due lunghi remi. Stop. Colore unico: azzurro-celeste per l’opera viva e i remi, bianco tutto il resto. Bianco anche il nome dello chalet pitturato alla buona sui galleggianti.
Erano indistruttibili questi mosconi, bastava ristuccarli e riverniciarli ogni due anni. Anche un po’ pesanti certo, ma a nessuno di noi è venuta un’ernia per sollevarli e trascinarli in due in acqua (ah, le esibizioni di agilità e di muscoli…). Ma poi bastava un colpo d’occhio per scegliere il più leggero. 200 lire l’ora.
Per due ore e più li affittavano i ricchi, quando non possedevano quello di famiglia (di un altro colore, già chiamato pattìno, ecco di chi fu la colpa), vigilato che guai a sfiorarlo e a cui toglievano i remi… Di mosconi ce n’erano tanti, più di cento solo a San Benedetto.
A Grottammare minimo quaranta.
Ma nelle ore topiche dovevi prenotarli, litigare col bagnino e pazientare perché stavano tutti in mare.
Un mare pulito col profumo del mare, senza scogliere, dove potevi “navigare” libero in lungo e in largo, dal molo sud a dopo il camping e da riva fino ben oltre la quarta secca, quasi da non veder più gli ombrelloni. Un mare silenzioso e vociante, fitto di mosconi, barchette a vela e a remi, ciambelle gonfiabili e tanta gente che sguazzava nuotava o faceva il morto.
Sapevamo nuotare tutti, senza scuole di nuoto, senza piscine-prigioni.
In mare, grazie ai mosconi, si “comunicava”: si parlava, si giocava, si amoreggiava, si pescava le cozze, si abbordava, si gareggiava, si dormiva, si leggeva, si litigava, si faceva merenda, si pensava, si faceva pipì.
Quando ci si scontrava, scuse sorrisi o… Dei temerari, se di là non c’era Tito sarebbero andati fino in Jugoslavia. Sì, il mare lo si viveva, grazie soprattutto ai mosconi. Solo se volevi affogarti era un problema: c’era sempre uno di loro che ti “salvava”…
Poi, all’improvviso, la mutazione genetica: prima, quel bel panoramico sedile biposto soppiantato da un subdolo materassino rigido (esteticamente schifoso), poi i remi tramutati in pedali (grande offesa per le biciclette), infine la malefica plastica al posto della materia prima legno: e fummo tutti incamiciati nella sua pelle sudaticcia e viscida. Così i mosconi diventarono pattìni.
Intanto il mare si era affollato di surf modaioli e di puzzolenti aggeggi a motore, mentre sorgevano, invalicabili, i confini delle scogliere; in acqua si “guidava” come per strada, poveri pedoni-bagnanti!
A riva le cose non andavano meglio: sparivano le sdraio di legno e pezza sostituite dai lettinid’alluminio e PVC, gli ombrelloni ingrassati prendevano forme barocche o diventavano gazebo, gli chalet s’incementavano come banche, la spiaggia s’assottigliava e da dorata diventava nera-come-il-carbon.
I mosconi (diventati pattìni), dopo le ultime corse, non avendo neanche spazio per riposare, caddero in depressione e ZAC si estinsero.
A Grottammare e San Benedetto ce n’è rimasto qualcuno rosso “di salvataggio”: sui cavalletti, con le ragnatele, che non ha voglia di salvare nessuno. In spiaggia o ci s’abbronza, o si consuma, o si muore.
Intanto il mare si era affollato di surf modaioli e di puzzolenti aggeggi a motore, mentre sorgevano, invalicabili, i confini delle scogliere; in acqua si “guidava” come per strada, poveri pedoni-bagnanti!
A riva le cose non andavano meglio: sparivano le sdraio di legno e pezza sostituite dai lettinid’alluminio e PVC, gli ombrelloni ingrassati prendevano forme barocche o diventavano gazebo, gli chalet s’incementavano come banche, la spiaggia s’assottigliava e da dorata diventava nera-come-il-carbon.
I mosconi (diventati pattìni), dopo le ultime corse, non avendo neanche spazio per riposare, caddero in depressione e ZAC si estinsero.
A Grottammare e San Benedetto ce n’è rimasto qualcuno rosso “di salvataggio”: sui cavalletti, con le ragnatele, che non ha voglia di salvare nessuno. In spiaggia o ci s’abbronza, o si consuma, o si muore.
Ma potrebbe ancora succedere che tornassero tra noi, i cari vecchi “mosconi”, se gli dessimo una mano.
Basterebbe eliminare le dannose scogliere, pulire il mare, rimetterci i pesci, togliere le sabbie nere e il troppo cemento dagli chalet, non sparare più ad ogni festa i botti, chè li spaventano… Che ci vuole?
Basterebbe eliminare le dannose scogliere, pulire il mare, rimetterci i pesci, togliere le sabbie nere e il troppo cemento dagli chalet, non sparare più ad ogni festa i botti, chè li spaventano… Che ci vuole?
Sennò, questo annuale nostalgico “Palio del Pattino”, a qualche maligno sembrerà sempre più simile a un allegro funerale in mare.