Sono trascorsi ventun’anni da quel tragico 19 luglio 1992, quando in via D’Amelio a Palermo vennero uccisi dalla mafia il giudice Paolo Borsellino e i suoi agenti di scorta Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Cosina e Claudio Traina. Un attentato esplosivo avvenuto a poco meno di due mesi da quello di Capaci, in cui persero la vita Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e i tre agenti Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Tutta Italia ha commemorato le vittime di quelle stragi, che però non hanno ancora trovato un colpevole, dopo anni di depistaggi, mancate verità e “buchi neri” da colmare. L’anniversario di via D’Amelio assume un significato particolare alla luce della sentenza che ha assolto il generale Mario Mori dall’accusa di aver favorito la latitanza di Bernando Provenzano, nell’ambito del cosiddetto “patto Stato-mafia”: un accordo scellerato fra istituzioni e poteri delinquenziali che avrebbe giocato un ruolo importante nell’uccisione di Borsellino. Decine di persone hanno manifestato davanti al palazzo di giustizia palermitano esprimendo la propria solidarietà alla magistratura. Aldilà delle verità giudiziali, resta pressante la necessità che la lotta alla mafia non subisca battute d’arresto.
Sottrarre terreno alla delinquenza. “La tensione positiva che si instaurò dopo la morte di Falcone e Borsellino – fa notare Giuseppe Savagnone, responsabile della pastorale culturale della diocesi di Palermo – oggi sembra scemata”. Resta il ricordo delle cerimonie ufficiali, ma “manca un risveglio globale delle coscienze”. “I profeti e i martiri sono isolati – ammette Savagnone – con il rischio di diventare un alibi per tutti gli altri che non vogliono impegnarsi”. Il fatto che, dopo vent’anni, sia ancora assente la verità sulle stragi di mafia “non è un bel segnale”, ma la cosa più grave è “la mancanza di un lavoro educativo di base, per cui “anche la Chiesa ha bisogno di stare in prima linea”. Per il docente palermitano “la pastorale deve muovere da un’esigenza: spingere verso il bene comune, aldilà degli interessi particolaristici”. Solo così si potrà sottrarre terreno alla mafia.
Sentinelle di verità e legalità. “Mi auguro che giornate come questa – sottolinea la suora paolina Fernanda di Monte, siciliana d’adozione – non si limitino a semplici commemorazioni, ma permettano di rifondare un tessuto sociale sempre più logorato”. Accanto all’ammirazione e alla stima per i servitori dello Stato, deve trovare spazio “l’educazione dei giovani alla legalità”, a partire dalle scuole. I segreti che ancora coprono le stragi del ‘92 “sono una caratteristica tipica del nostro Paese, dove permangono misteri difficili da svelare”. “Ci sono livelli superiori – conclude suor Di Monte – a cui non possiamo accedere”, per cui “dobbiamo augurarci che il cambiamento parta dalle nostre istituzioni e dai nostri politici”. Per don Giovanni Salvia, responsabile pastorale per le forze armate della Sicilia orientale, “la memoria di Borsellino rappresenta un’occasione per valorizzare la grandezza di uomini che, pur con pochi mezzi, sacrificano se stessi per il proprio lavoro”. Vere e proprie “sentinelle della verità e della legalità”, di cui “il popolo siciliano è ricco”, come ha testimoniato, da sacerdote, don Pino Puglisi.
Far seguire al ricordo le azioni concrete. Da un capo all’altro della Sicilia si susseguono le manifestazioni per l’anniversario della strage di via D’Amelio. A Catania l’associazione Addiopizzo (impegnata con successo nella lotta al racket) ha organizzato un momento di ricordo insieme ai ragazzi della casa famiglia papa Giovanni XXIII e dell’oratorio salesiano S. Francesco di Sales. “La nostra azione educativa – spiega don Giuseppe Raimondo, responsabile dell’oratorio – incide a livello preventivo, offrendo ai giovani strumenti validi per impegnarsi con profitto nella vita di tutti i giorni”. La commemorazione “si inserisce pienamente nelle attività del Grest estivo, con l’invito a coltivare la legalità e ad essere a servizio degli altri”. “Iniziative come questa – gli fa eco il presidente di Addiopizzo Catania Totò Grosso – fanno conoscere le stragi di mafia a chi nel ‘92 non era ancora nato”. Un passaggio di testimone fra generazioni, per “far seguire al ricordo le azioni concrete”.