Forse mai come ora le persone guardano tanto alla Chiesa cattolica e, in particolare, al Papa. Fin dal primo momento Francesco è riuscito a entrare nel cuore di tutti, dialogando in modo semplice e diretto.
Persone indifferenti sono rimaste colpite dalla scelta del nome – S. Francesco d’Assisi è il santo anche dei non credenti – e dal suo modo di comportarsi. È naturale che lentamente si siano sviluppate le attese; su questo ognuno ha le proprie, ma tutti sono convinti che Francesco farà molto per la Chiesa e per il mondo.
Ora, se mettiamo da parte le domande più bizzarre, che certamente non troveranno risposta, che cosa la gente aspetta per la Chiesa? Che il Papa continui con forza la riforma ultimamente intrapresa da Benedetto XVI. Certo tutti i papi sono riformatori, perché custodiscono e trasmettono la parola di Cristo, sempre nuova rispetto alla mentalità degli uomini. Però è vero che Benedetto XVI non ha avuto paura di guardare ai mali della Chiesa e li ha affrontati con sapienza. Basti ricordare l’impegno per aiutare la Chiesa in Irlanda a superare con determinazione episodi gravi di pedofilia. In quella occasione egli stesso scrisse una lettera in cui, tra le altre cose, chiedeva una seria penitenza, necessaria per il rinnovamento. Benedetto XVI ha intrapreso la strada su cui Francesco continua strenuamente e di questo la gente ne è consapevole. L’attesa forte è che egli aiuti la Chiesa ad essere autentica e coerente a tutti i livelli: dai vertici alle periferie. Le persone sanno che egli può farlo e si adopererà per questo. Così le sue parole sono ascoltate, perché in fondo attese.
Tra le più recenti ci sono state quelle rivolte ai seminaristi e ai novizi di tutto il mondo, convenuti a Roma per l’Anno della Fede. Ad essi, cioè alle guide di domani, ha detto parole molto chiare che valgono ancora di più per le guide di oggi. Ha ricordato, ad esempio, che tutti, anche i più vecchi sono sotto la cultura del provvisorio e questo è pericoloso, perché se uno non gioca la vita per sempre, non sarà mai contento. Ancora ha detto che la vera gioia non proviene dalle cose, dall’avere tanto, ma nasce dalla relazione con Dio e con gli altri. Ha parlato anche del celibato – una di quelle scelte che qualcuno in modo bizzarro pensa potrebbe essere abolita – spiegando che è il mezzo per vivere la paternità e la maternità spirituale nella Chiesa: senza queste la vita religiosa è triste. Ha confidato di desiderare una Chiesa più missionaria verso le periferie e meno tranquilla.
E, poi, le parole a Lampedusa, rivolte all’intera società. “Tanti di noi, mi includo anch’io, siamo disorientati, non siamo più attenti al mondo in cui viviamo, non curiamo, non custodiamo quello che Dio ha creato per tutti e non siamo più capaci neppure di custodirci gli uni gli altri”. Includendosi, Francesco si fa compagno di strada di ogni uomo; non si pone al di sopra, ma accanto, come a dire che nessuno può dirsi tranquillo rispetto all’indifferenza. E ha proseguito: “la cultura del benessere ci rende insensibili alle grida di altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono l’illusione del futile, del provvisorio, che porta all’indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione dell’indifferenza”. Chi ha compreso che la cultura del benessere, che domina da almeno cinquant’anni, non dà né sicurezza, né felicità, anzi, discrimina, ascolta con interesse queste parole del Papa. Ciascuno scopre di essere come un terreno secco, che attende acqua fresca.
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