A due latitudini opposte del globo hanno luogo in questi stessi giorni due grandi eventi della fede.
A Rio de Janeiro Papa Francesco abbraccia con le sue parole, i suoi sorrisi, il suo corpo, la sua preghiera quella immensa folla di giovani, umanità festosa – e ferita – che lo accompagna in ogni istante di questa Gmg 2013, comunicandogli affetto e fiducia e chiedendogli di continuare a seminare il Vangelo della speranza, della misericordia e del coraggio, come ha fatto fin dal primo istante del suo pontificato.
A Mosca, invece, il patriarca della Chiesa ortodossa russa Kirill, insieme alle delegazioni delle chiese ortodosse di Costantinopoli, Alessandria, Antiochia, Gerusalemme, delle repubbliche Ceca e Slovacca, e poi Georgia, Serbia, Albania, Romania, Bulgaria, Cipro, Polonia, Grecia e America del Nord, celebra il 1025° anniversario del battesimo della Rus’.
Così, mentre il 24 luglio Papa Francesco benediceva i fedeli con la statua della Madonna Aparecida, a Mosca il patriarca Kirill compiva lo stesso gesto con la reliquia della Croce di Sant’Andrea. È la croce decussata (a forma di X) su cui fu crocifisso l’apostolo Andrea, conservata nella cattedrale di Sant’Andrea di Patrasso (Grecia) e che, partita da San Pietroburgo all’inizio di luglio, sta pellegrinando attraverso Mosca, Kiev e Minsk.
Centinaia di migliaia di persone si accalcano attorno a Papa Francesco; numeri non meno significativi di fedeli partecipano in terra russa alle solenni liturgie celebrative della storia del cristianesimo nell’Europa orientale e si prostrano di fronte alla reliquia di Sant’Andrea, primo evangelizzatore di questa regione. E le parole del Santo Padre, come quelle di Kirill, invitano alla fedeltà a Dio e al messaggio evangelico, alla fiducia perché Cristo ha vinto la morte e il peccato.
Possiamo forse accomunare i due eventi come momenti forti dell’annuncio del cristianesimo al mondo contemporaneo, due testimonianze di fede vissuta, altrettante occasioni per le rispettive chiese di ritrovare slancio e rinnovamento spirituale. Da un lato ci sono i giovani con il loro entusiasmo contagioso, dall’altra parte è la robustezza di una storia cristiana che ha saputo sopravvivere a prove e tribolazioni.
È inoltre significativo il fatto che una delegazione ortodossa sia stata presente alla messa presieduta da Papa Francesco ad Aparecida, e una cattolica abbia partecipato, sempre il 24 luglio, alla solenne liturgia nella cattedrale di Cristo Salvatore a Mosca. Queste presenze, ancorché discrete, sono il segno di quell’atteggiamento di stima e di appoggio reciproco che deve animare le relazioni ecumeniche perché proceda il cammino verso l’unità anche visibile dei cristiani. Infatti una unità profondissima ma invisibile esiste già, benché si fatichi a riconoscerla oltre le evidenti diversità di modi, toni, linguaggi e, dal nostro punto di osservazione, anche di impatto mediatico.
Recentemente il segretario generale della Kek (Conferenza delle chiese europee), rev. Guy Liagre, ha affermato che “la grande sfida per l’ecumenismo è accogliere le nostre risposte diverse legate alla situazione sociale diversa in cui ci troviamo”. Così è di fronte a questi due eventi, tanto differenti l’uno dall’altro.
Certo colpisce, leggendo i testi del patriarca di Mosca Kyrill, la grande enfasi che egli pone sulla dimensione storica e pubblica dell’esperienza cristiana in Russia e lo stretto legame tra Russia e ortodossia, come del resto è nella concezione ortodossa del territorio canonico. Similmente, tuttavia, è stata a volte sollevata la critica che manifestazioni come le Gmg potessero essere un esercizio autocelebrativo di un cattolicesimo in crisi, per lo meno in Europa. Papa Francesco, incontrando il 25 luglio i connazionali argentini nella cattedrale di Rio, non a caso li ha invitati a dare un seguito “concreto” alle Giornata mondiali della gioventù, portando nelle proprie comunità diocesane, nelle proprie terre, una missionarietà ancora più fedele a Cristo, convinta, coerente, coraggiosa.
È infine possibile far leva su un ulteriore aspetto comune degli eventi di Rio e di Mosca, e cioè “sul fatto che ambedue vogliono presentare nel cristianesimo la via che porta a rivelare e a manifestare il meglio dell’uomo”, come ha affermato il teologo cattolico Basilio Petrà. Inoltre, nella misura in cui i laici cristiani che partecipano a questi eventi sapranno essere loro stessi attori nell’apostolato e nell’annuncio, questi due momenti di grande intensità religiosa diventeranno cristianesimo vissuto.