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Perché G.K.C. potrebbe diventare presto beato?

Lo scrittore inglese Gilbert Keith Chesterton sta godendo negli ultimi anni di una grande fama in Italia, dopo anni di ingiusto oblio: sono state ristampate molte sue opere, il Meeting di Rimini gli sta dedicando in questi giorni una mostra, ma soprattutto, il principe del paradosso potrebbe presto salire agli onori dell’altare. È infatti di pochi giorni fa la notizia che il vescovo britannico Peter John Haworth Doyle ha nominato un chierico per  iniziare la fase diocesana per la causa di beatificazione. Per approfondire l’argomento, abbiamo intervistato il Dott. Paolo Gulisano, uno dei massimi esperti di cultura e letteratura anglosassone, autore di una biografia di Chesterton (Chesterton e Belloc apologia e profezia, ed. Ancora) e di un romanzo di fantastoria in cui riprende le avventure di Padre Brown (Il destino di Padre Brown, edit. Sugarco)

Dottore, una notizia che ha fatto gioire tutti gli appassionati di Chesterton. Quando nella chiesa si è iniziato a parlare della possibilità di elevare lo scrittore inglese alla gloria degli altari?

Gilbert Keith Chesterton  durante la sua vita aveva dato modo di testimoniare  con grande chiarezza le sue straordinarie virtù cristiane, che suscitavano l’ammirazione anche di chi era lontano dalla fede. Il primo a parlare di queste virtù come un segno di santità di vita fu l’amico padre Vincent McNabb, domenicano irlandese trapiantato in Inghilterra che di Chesterton fu maestro e amico. Nel 1986, in occasione del cinquantenario della morte, l’allora Arcivescovo di Toronto, il cardinale Gerald Emmet Carter, grande ammiratore dello scrittore inglese, disse che Gilbert aveva vissuto una vera santità laicale, che aveva esercitato un autentico ruolo profetico nella Chiesa e nel mondo. Il cardinale non fece mistero del fatto che – fosse stato per lui- si sarebbe dovuta aprire la causa di beatificazione. Le sue parole vennero riprese in Inghilterra dallo storico Scarisbrick, che chiese pubblicamente di prendere in considerazione questa ipotesi, e di iniziare un lavoro preparatorio in tal senso, come la raccolta di documentazione relativa alle sue virtù. Un lavoro che ha ricevuto l’entusiastico sostegno di migliaia di lettori e cultori di Gilbert, in particolare  negli Stati Uniti dove la sua popolarità è sempre stata altissima. Non è un caso che la notizia della disponibilità del Vescovo di Northampton (la diocesi inglese dove Chesterton visse gran parte della sua vita e dove è sepolto, nel villaggio di Beaconsfield) è stata data in America  da parte del Presidente della Chesterton Society Dale Ahlquist. Ma gli Stati Uniti non sono il solo paese dove la causa di Chesterton è appassionatamente sostenuta: all’Inghilterra e all’Irlanda si devono aggiungere anche l’Italia e l’Argentina, dove un ruolo di supporter di Gilbert è stato svolto per anni dall’Arcivescovo di Buenos Aires Jorge Mario Bergoglio, un prelato dalle caratteristiche decisamente chestertoniane!

Chesterton è indubbiamente un grande scrittore, cosa secondo lei potrebbe far scattare la molla per farlo entrare nella folta compagine dei Santi? Quali sono le sue peculiari virtù?

Chesterton si era assunto un compito, nella sua vita, di scrittore, di giornalista, di uomo: amare e testimoniare la Verità. Si era assunto il compito di interpretare le cose divine, per tradurle con immagini piane e linguaggio comune. Dimostrò che con la letteratura e la saggistica si può essere apostoli e profeti, riportando gli uomini al gusto delle cose belle e della verità. Inoltre indicò sempre – a chi lo leggeva e a chi lo incontrava- la prospettiva affascinante della santità. Una santità intensamente cercata, voluta, desiderata. La sua arte fu quella di appassionare a cose belle, di stupire con la fantasia, di divertire con l’umorismo, di formare con la storia, di destare le coscienze con il giornalismo e la politica, ma la sua missione suprema fu quella di adoperarsi per guadagnare anime a Dio, dal momento che non c’è cosa più santa al mondo che cooperare al bene delle anime, per la cui salvezza Gesù Cristo venne nel mondo.

Chesterton Beato. Come le suona questa cosa? La sua figura sarebbe atipica in mezzo a quella di tanti altri beati?

Direi di no: si collocherebbe in una specifica categoria di santi che è quella dei Confessori della Fede, una categoria antica quanto la Chiesa e preziosissima, quanto i Martiri, i Taumaturghi, i Mistici e così via. Chesterton è un modello, un testimone della Fede importantissimo in un’epoca come la nostra dove occorre porre mano ad un’opera di rievangelizzazione di paesi e culture scristianizzate. Chesterton vide profeticamente le prime avvisaglie di questo processo, e si era preoccupato in primo luogo di riportare gli uomini al buon senso, e lo aveva fatto con un uso magistrale del paradosso, poiché la sua utilità sta nel risvegliare la mente. Aveva fatto uso dell’umorismo, perché la risata e l’allegria sono vantaggi che non possono e non devono essere concessi ai nemici della Fede, i quali, più che al buon umore, puntano al sarcasmo, a deridere piuttosto che a sorridere.  “Alla gente piace ridere spesso – aveva scritto – ma non credo che piaccia un sorriso continuo. L’allegria priva di umorismo è molto fastidiosa”.

Chesterton nella sua brillante carriera non ha disdegnato il genere polemico. Secondo lei questa caratteristica della sua produzione potrebbe essere di intralcio per il riconoscimento della sua santità?

Assolutamente no. Chesterton non offese mai nessuno nel corso della sua carriera pubblicistica. Per lui – come per il suo grande amico e sodale di tante battaglie culturali Hilaire Belloc, il cristianesimo si fa cultura e non diventa subalterno al mondo, ma lo cambia e lo migliora. Il tutto, e questo è l’aspetto più affascinante dei due, senza asprezze, senza conflittualità. E’ l’apologetica dell’amore, che non cerca lo scontro ma l’incontro, è la difesa della Verità nella Carità. Chesterton mostrò come si testimonia la fede in una società ad essa largamente indifferente, non solo non più cattolica, ma nemmeno più cristiana. Fu un’apologetica che si avvaleva del sorriso dell’innocenza e dei paradossi che smascherano le menzogne, grandi e piccole.

Qual è secondo lei il più significativo contributo che l’intellettuale Chesterton ha portato portato nel pensiero occidentale?

L’approfondimento teorico, ma soprattutto pratico, dell’etica delle virtù. Da questo punto di vista Chesterton ha rinnovato l’aristotelismo, applicandolo ai problemi della modernità. E’ riuscito inoltre ad offrire un pensiero cristiano dove il ragionamento tomista si coniuga a meraviglia con la fantasia e la creatività francescana. Così egli ci invita a salvaguardare il buon uso della ragione, e allo stesso tempo a godere della bontà e della bellezza del Creato e a gioire di esso come fanno i  bambini.

Lei come si è avvicinato a questo autore?

Grazie ad uno dei suoi personaggi più celebri: Padre Brown. Cominciai da ragazzo a leggere le avventure di questo prete detective, che mi affascinava per il suo acume e la sua bontà, e pensai che Padre Brown era il prete ideale da incontrare, da avere per confessore e per amico. Non un semplice Sherlock Holmes con la tonaca, ma un vero e proprio investigatore del Mistero che ti prende per mano e ti accompagna alla scoperta della Verità. In seguito poi ebbi modo di leggere tutto Chesterton, e di trovare in lui un maestro e un amico, sia nella saggistica che nella narrativa.

Qual è l’opera di Chesterton che maggiormente la affascina?

C’è un’opera in cui Chesterton testimonia in modo straordinario la possibilità di affrontare il mondo, qui e ora, senza alcuna paura, un’opera in cui traspare la sua fede ragionevole e il suo umorismo buono, un’opera la cui lettura costituisce una vera e propria medicina per l’anima, ed è La sfera e la croce. Qui Chesterton ha davvero sintetizzato il suo pensiero e le sue virtù.

Chesterton è autore di centinaia di aforismi. Se ne dovesse scegliere uno su tutti, quale preferirebbe?

Non ho dubbi: “Sapete perché gli Angeli volano? Perché si prendono alla leggera!”

 

 

Nicola Rosetti: