La Chiesa costruita dalla nostra diocesi nelle Filippine
FILIPPINE – Quest’anno, le Filippine – indicate dall’agenzia di rating Standard&Poor’s, come il motore più importante dell’economia del Sud-Est asiatico – insieme all’Indonesia, la Malaysia, la Thailandia e Singapore, dovrebbero crescere, in media, del 5,5%: un dato superiore alle previsioni, che parlano di un Pil in aumento del 7%, per poi assestarsi sul 6-6,5% nei prossimi due anni. Il grande Paese asiatico – cento milioni di abitanti, nella maggior parte giovani e con il maggior numero di cattolici – che ospiterà nel 2016 il Congresso eucaristico internazionale, può contare su costi perfino più concorrenziali della Cina, su una manodopera di alto profilo e su un alto livello dei consumi, che coprono il 70% del Pil, grazie anche all’apporto delle rimesse dall’estero, inviate alle famiglie da circa dieci milioni di filippini emigrati in altri Paesi. Il mercato azionario è cresciuto del 33% l’anno scorso e la moneta si è apprezzata del 7% circa nei confronti del dollaro.
La lotta alla corruzione. Questi risultati sono stati resi possibili grazie alle politiche adottate dal presidente Benigno Aquino, che è giunto oramai a metà del suo mandato. In particolare la sua azione è stata incisiva in relazione alla lotta alla corruzione, al contrasto alla povertà e alla modernizzazione, in un contesto di democrazia consolidata, che conosce anche i suoi punti di resistenza. Rispetto alla corruzione, rimane ancora molto da fare, come dimostrano le manifestazioni che si sono tenute a Manila e in altre città, il 26 agosto, alle quali hanno partecipato decine di migliaia di persone. Dimostrazioni popolari indette contro gli scandali legati al “Fondo di assistenza allo sviluppo prioritario”, utilizzato discrezionalmente dai parlamentari, che sembra abbiano commesso abusi nell’utilizzo di questo strumento finanziario.
Disoccupazione e povertà. La crescita e lo sviluppo del Paese, però, non riescono ad affrontare alcuni decisivi problemi di carattere strutturale. Come quello della disoccupazione, aumentata nei primi mesi dell’anno e quello della povertà: il 28% dei filippini vive al di sotto della soglia minima di sopravvivenza. Su questa questione, nelle scorse settimane, è intervenuta la Conferenza episcopale delle Filippine, attraverso una nota del presidente di “giustizia e pace”, monsignor Broderick Pabillo, ausiliare di Manila, nella quale si afferma che “i più deboli non beneficiano dei progressi, il governo esclude i poveri dalla crescita economica”. Inoltre sottolinea “la concentrazione della ricchezza in mano a una piccola parte della popolazione”. Viene rimarcato, in particolare, il problema della contrattualizzazione della manodopera e viene messa in discussione la politica economica “che non ha avuto un riscontro pratico nel Paese; anzi, ha causato ulteriori abusi e vessazioni e benefici solo per i ricchi”.
Lo scenario dell’Asia di oggi. Lo scenario descritto corrisponde alla realtà più generale dell’Asia di oggi. Il continente è segnato da profonde contraddizioni: è il più rapido nello sviluppo, ma è anche il luogo dove vive quasi la metà dell’intera popolazione più povera al mondo; è il principale centro del mondo per produzione e vendite relative al settore manifatturiero, dei servizi e dell’informatica, ma contemporaneamente una grande percentuale degli asiatici è analfabeta e disoccupata; è il principale centro al mondo del risparmio, ma nella maggior parte dei suoi Stati sono necessari cospicui investimenti interni, nelle infrastrutture, nei trasporti, nel settore dell’energia e nell’urbanizzazione. Nonostante questo, l’Asia – con i suoi Paesi che più emergono, come le Filippine – propone una crescita socio-economica formidabile, che riguarda il 60% della popolazione mondiale. Il problema è proprio quello sottolineato dai vescovi delle Filippine: garantire che di questa crescita beneficino tutti.
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