DIOCESI – Sabato 7 settembre, si è tenuta presso la Cattedrale Madonna della Marina la solenne celebrazione per la giornata mondiale di preghiera e di digiuno per la Pace in Siria, per i XVII di consacrazione del nostro Vescovo Gervasio Gestori e per il nuovo anno Pastorale.
La Santa Messa è stata presieduta da S.E.R. Mons. Gervasio Gestori.
Nell’omelia pronunciata da mons. Gestori il tema della fede è stato più volte ripetuto, invitando i fedeli a Credere nel Signore, con un riferimento alle rilevanti parole di Papa Francesco e di Sant’Agostino.
Fin dal primo giorno d’insediamento del nostro vescovo, si è notato il grande rapporto di reciproco amore con la sua Comunità, sintetizzato ieri sera da una parte con la consegna, all’inizio della celebrazione, di un mazzo di fiori e di una maglietta con su scritto “Non lasciate rubare la speranza” (frase pronunciata dal Papa Francesco e rivolta ai giovani), dall’altra con la consegna ai presbiteri, ai segretari dei consigli pastorali, ai responsabili delle realtà ecclesiali e ad un giovane delle 54 realtà parrocchiali diocesane del testo “Cuore a Cuore”, una raccolta che il nostro Vescovo ha rivolto ai suoi preti e ai suoi giovani. Un testo significativo per il cittadino della nostra Diocesi, un racconto carico di emozioni in cui sono raccolti in vari capitoli, le omelie e gli altri interventi ai preti e delle messe crismali, nonché parole rivolte ai giovani.
Riportiamo la nota previa del libro, contenente le parole del Nostro Vescovo in occasione dell’anniversario: “Ogni Vescovo ha il dovere di annunciare il Vangelo di Gesù. Prima di essere ordinato, alla domanda pubblicamente rivolta: “Vuoi predicare, con fedeltà e perseveranza il Vangelo di Cristo?”, egli ad alta voce risponde: “Si, lo voglio”. Ogni Vescovo deve annunciare il Vangelo anche con le parole. Le occasioni sono sempre numerose ed egli non può tacere […] Ma in verità un Vescovo propriamente parla soprattutto con lo sguardo, l’ascolto, il gesto, il servizio di amore, la testimonianza della vita. Alla amatissima Chiesa Truentina, per la quale sono diventato Vescovo, ai suoi sacerdoti ed ai suoi giovani, vorrei con affetto grato riconsegnare queste parole, nella viva speranza di essere riuscito a parlare soprattutto con la vita”.
Tra i i concelebranti era presente anche il Rev.do Juan Carlos Barreto Barreto, (leggi la biografia, http://www.zenit.org/it/articles/nominato-il-nuovo-vescovo-di-quibdo-colombia) 45enne nuovo Vescovo di Quibdò (Colombia) e avente un legame stretto con la nostra Diocesi, in particolare con Cupra Marittima, abbiamo raccolto la sua testimonianza:
“Ringrazio il Signore di questa opportunità che ho avuto nella fede della Chiesa e condividere insieme a voi questa celebrazione speciale. Per me Mons. Gervasio è una persona che mi fa capire il rapporto che il Vescovo deve avere con i suoi sacerdoti, con i religiosi e anche con tutto il popolo cattolico.
Questi 17 anni che lui ha compiuto di fronte a questa Chiesa, è un servizio che i Vescovi devono fare per il bene del popolo di Dio. Per lui tanti auguri.
Per me questo è molto importante perché incomincio questo servizio nell’Episcopato. Voglio ringraziare anche il Signore per questa giornata di preghiera per la Pace che è stata fatta nel Mondo, voluta dal Santo Padre Francesco e noi come cattolici abbiamo fatto questa risposta e ci siamo uniti anche ad altre persone che non appartengono alla nostra fede.
Il Signore mi ha dato la possibilità di tornare qui, in questa Diocesi di San Benedetto Del Tronto-Ripatransone-Montalto, dove dal 1998 al 2000 sono venuto per aiutare presso la Parrocchia di Cupra Marittima.
Adesso, Come Vescovo della Diocesi di Quibdò in Colombia, ringrazio il Signore per questa opportunità e sono molto contento di essere qui e di avere la Vostra amicizia e la Vostra Preghiera”.
Le parole pronunciate dal nostro Vescovo Gervasio Gestori: “Carissimi, ci ritroviamo all’inizio di questo nuovo anno pastorale nella nostra Cattedrale, ci ritroviamo in tanti, sacerdoti, diaconi, religiose, Parrocchie, Comunità, per riprendere un cammino insieme, con quello stile sinodale coraggioso e gioioso, che sta donando nuovi e fecondi frutti spirituali alla nostra Chiesa diocesana.
Rinnovo il mio affettuoso saluto a tutti voi, che avete accolto l’invito per questa importante celebrazione di inizio anno pastorale ed anche per me significativa e cara, ormai pastore del nostro Popolo da 17 anni.
Ci sentiamo profondamente uniti nella fede al Santo Padre, che in questi momenti sta guidando la preghiera in Piazza S. Pietro, per implorare dal Signore il dono della pace in Siria, nel Medio Oriente e nel mondo intero.
Mi lascio suggerire le riflessioni dalla recente lettera Enciclica di papa Francesco Lumen fidei: essa può offrire anche le linee di fondo dell’itinerario pastorale delle nostre Comunità in questo nuovo anno.
Sappiamo tutti che la fede è il grande dono, portato a noi da Gesù. E’ un dono, che forse non sappiamo apprezzare abbastanza, perché abituati a credere e a dirci credenti. Proviamo un istante a pensare che cosa saremmo, se non avessimo ricevuto il dono della fede dall’affetto umanissimo dei nostri genitori, di qualche religiosa, di un nostro prete, di persone amiche. Come vivremmo senza la fede? Chi saremmo nella nostra esistenza quotidiana, specialmente nei momenti di dolore, senza questo dono di grazia, di misericordia, di forza?
“Chi crede, vede – ha scritto papa Francesco – vede con una luce che illumina tutto il percorso della strada, perché viene a noi da Cristo risorto, stella mattutina che non tramonta” (n. 1).
La luce della fede ci fa vedere il presente in maniera luminosa e dona un significato positivo a quanto ci accade, perché sappiamo, cioè abbiamo la capacità di capire, che tutto è nelle mani di Dio, Onnipotente e Padre. La fede non conosce parole come “caso”, “fatalità”, “destino cieco”, “assurdità”, purtroppo abituali sulle labbra di chi non crede, ma per il credente parole che non dicono nulla e che solo esprimono la sconfitta esistenziale di fronte alle domande della vita ed a tanti suoi momenti problematici.
La fede fa vedere che la storia del mondo non è in balia degli antagonismi tra gli Stati, delle avversità sociali, delle lotte culturali, dei protagonismi delle persone, quasi fossimo soltanto lupi accanto a lupi. No, la fede fa vedere che nel mondo vive la presenza dello Spirito santo, esplodono forze ricche di amore, il bene operato da Cristo soprattutto sulla Croce non è destinato alla irrilevanza e tanto meno alla sconfitta. La fede ci convince che il bene è sempre più forte del male: quale fortuna!
“La fede cristiana è dunque fede nell’Amore pieno, nel suo potere efficace, nella sua capacità di trasformare il mondo e di illuminare il tempo. Abbiamo conosciuto e creduto all’amore che Dio ha per noi”, ricorda papa Francesco (n. 15).
Anche questa è una grande fortuna: poter credere, poter pensare in questi termini. Bisogna solo lasciarsi prendere dal dono gratuito di Dio ed avere l’umiltà ed il coraggio di fidarsi di Dio e di affidarsi serenamente a Lui (n. 14).
Abbiamo anche la prova di questa possibilità enorme ed impensabile di affidarci nella fede a Lui. Scrive il Papa: “La prova massima dell’affidabilità dell’amore di Cristo si trova nella sua morte per l’uomo” (n. 16). Qui occorre il cuore, occorre cioè l’amore ed insieme l’umiltà concreta di dirci: “Gesù ha amato me, ha amato anche me, e me lo ha dimostrato sul Calvario, quel Venerdì santo, che ha dato origine ai tantissimi venerdì santi, quanti sono gli infiniti atti di amore del Signore per
noi”. Diceva S. Agostino: “Toccare con il cuore, questo è credere” (citato al n. 31). Credere con il cuore, pensare con il cuore.
In altro passo, durante una sua omelia, il santo vescovo di Ippona diceva ai suoi fedeli: “Quello che non vedo, lo credo; quello che credo, lo amo; e quello che amo, lo vedo” (Discorso 65 a, 4). La fede fa vedere quello che non vedi; la fede fa amare quello che credi; l’amore fa vedere e fa vedere meglio. “Dammi una persona che ama e capisce quello che dico” (S. Ag. Trattato sul vangelo di Gv, n. 26)). Amare per credere, credere per vedere.
Quante volte capita questo anche nella vita quotidiana delle nostre famiglie, tra genitori e figli! Non è forse vero che tante mamme hanno la capacità di conoscere i bisogni dei figli, non perché questi parlano, ma perché esse amano e intuiscono? Quello che avviene nelle nostre case, succede anche quando l’amore guidato dalla luce della fede porta a vedere aldilà di fatti dolorosi, allora si piange ma senza disperazione, si soffre ma con uno sguardo di serenità, si subisce anche un torto ma senza abbattersi, si vive una rassegnazione coraggiosa, carica di speranza.
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Questa fede concreta, semplice e popolare, questa fede vera e preziosissima, si può tramandare in tanti modi, ma soprattutto si trasmette per contatto, dice il Papa. Con una specie di sano contagio, da persona a persona, la fede vive e si diffonde, quasi fiamma che si accende da un’altra fiamma (cfr. n. 37).
Allora il credere personale diventa un credere allargato, “l’io credo” diventa “noi crediamo”, e la fede vive di comunione, ci fa sentire Chiesa, domanda solidarietà, chiede collaborazione, abbatte l’individualismo, non si è soli, perché si dona e si riceve: è la gioia di essere Chiesa, quella fatta di pietre vive, dove ciascuno ha un suo ruolo, poco importa se più o meno visibile, ma ciascuno ha un suo ruolo importante nella vita del Popolo di Dio.
Naturalmente il nostro vivere da credenti non è esente da difficoltà, anzi può succedere che il credente sia maggiormente messo alla prova dai disegni imprevedibili del Signore. Anche in questi momenti, soprattutto in queste circostanze, la fede emerge con tutta la sua forza umana e soprannaturale. Veramente si può dire: “Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino” (Sal 119,105).
Allora “la sofferenza ci ricorda che il servizio della fede…è sempre servizio di speranza, che guarda in avanti sapendo che solo da Dio, dal futuro che viene da Gesù risorto, può trovare fondamenta solide e sicure la nostra società. In questo senso la fede è congiunta alla speranza” (n. 57). Papa Francesco afferma quindi: “Non lasciamoci rubare la speranza”, per il bene della vita, per un mondo migliore.
Spetta ad ogni credente la difesa della speranza, una speranza certa, fondata sulla fede. Tutti dobbiamo poter sperare. Ma perché il fondamento rimanga solido e la fede sia autentica, perché la speranza non deluda, questo è impegno che spetta soprattutto ai pastori d’anime, ai nostri sacerdoti. Li ringraziamo per il ministero che svolgono, siamo loro riconoscenti perché ci aiutano a sperare sempre, anche nelle circostanze più dolorose, e li sosteniamo con la nostra preghiera, perché la loro opera pastorale risulti feconda ed efficace.
Carissimi,
nel riprendere il cammino del nuovo anno pastorale la nostra Diocesi trova nelle parole della Enciclica una luce chiara e dei suggerimenti importanti. Sia dunque il nostro un itinerario luminoso, ricco di speranza, accompagnato dalla generosità collaborante di tanti fedeli, ritmato da gioia vera in tutte le nostre comunità.
Una nota di papa Francesco merita di essere ora ricordata: “Come servizio all’unità della fede e alla sua trasmissione integra, il Signore ha dato alla Chiesa il dono della successione apostolica. Per suo tramite, risulta garantita la continuità della memoria della Chiesa ed è possibile attingere con certezza alla fonte pura da cui la fede sorge” (n. 49).
Queste parole del Papa toccano direttamente anche il ricordo che questa sera la nostra Chiesa Truentina intende vivere per l’anniversario della ordinazione episcopale del proprio pastore. Sono infinitamente grato a Dio per il dono di essere vostro vescovo e largamente riconoscente a voi per il lungo accompagnamento attento e affettuoso durante questi anni. Chiedo ancora la carità preziosa della vostra preghiera, perché possa essere fedele al Signore fino all’ultimo respiro terreno della mia anima”.