Di Stefano Costalli
SIRIA – Finalmente qualcuno ha provato ad affrontare il complesso nodo di questioni legate alla guerra civile siriana in termini diplomatici. La proposta russa di far porre ad Assad il proprio arsenale chimico sotto il controllo internazionale rappresenta la prima vera novità in uno scenario che si trascina in uno stallo strategico ormai da molti mesi, ma che non cessa di mietere vittime ogni giorno. L’intervento armato prospettato da Obama avrebbe potuto rappresentare un diverso modo di scuotere la situazione, ma è ormai chiaro a tutti che esso è privo di una vera prospettiva politica e che le opinioni pubbliche di quasi tutti gli alleati americani sono contrarie ad un’altra avventura mediorientale. Il riscontro avuto dall’iniziativa di sabato scorso promossa da Papa Francesco ha messo ulteriormente in luce questa generale contrarietà al tentativo di sommare violenza alla violenza, senza nessuna ragionevole aspettativa di risolvere i veri problemi che stanno alla base del conflitto siriano. Ecco dunque che paradossalmente i maggiori sostenitori del piano russo potrebbero proprio essere il presidente americano e il suo staff, che vedono finalmente un percorso attraverso il quale uscire dal vicolo cieco in cui si erano cacciati.
Obama ha infatti pronunciato subito un discorso alla nazione nel quale ha cercato di bilanciare le ragioni dell’intervento e le ragioni della diplomazia, ma che ha finito per essere criticato da molti commentatori politici americani come confuso, mancante di chiarezza e pure leggermente ipocrita. L’unica cosa chiara nel discorso di Obama è stata la richiesta al Congresso di rinviare il voto sull’intervento militare per lasciare tempo alla diplomazia di verificare la fattibilità del piano russo. Nobile intenzione dietro alla quale si prova a celare il timore per un voto che secondo le ultime notizie avrebbe potuto vedere il Presidente sconfitto su una proposta di uso della forza, che negli Stati Uniti avrebbe rappresentato un evento più unico che raro. Certo, la via di fuga che viene offerta adesso a Obama non è facile da accettare, perché legittima la Russia come interlocutore indispensabile per la gestione della crisi e attribuisce implicitamente a Mosca il ruolo dell’attore che cerca di risolvere i problemi pacificamente, dopo che i rapporti fra le due potenze si erano molto irrigiditi negli ultimi mesi. Tuttavia, Kerry sta già volando a Ginevra per incontrare il Ministro degli esteri russo e non ci sono dubbi sul fatto che saranno colloqui importanti. Si parlerà della bozza di risoluzione da presentare al Consiglio di Sicurezza dell’Onu per attuare concretamente l’idea russa.
Gli Stati Uniti hanno adesso un forte incentivo a lavorare in questa direzione, ma la situazione resta comunque complessa. Prima di tutto, gli Usa non possono dare l’impressione di essere troppo accondiscendenti. Per esempio, non possono accettare che Assad usi platealmente questo nuova possibilità soltanto per prendere tempo o per occultare una quantità rilevante del suo arsenale chimico. Inoltre, se anche il piano russo andasse a buon fine e tutti gli attori coinvolti giocassero in modo corretto, non saremmo necessariamente più vicini alla fine della guerra, che dovrebbe restare l’obiettivo primario. Per raggiungere tale meta servirebbe uno sforzo diplomatico ben più profondo e impegnativo, che coinvolgesse anche l’Iran e l’Arabia Saudita. Chi riuscisse a portare a termine questa ardua impresa sarebbe il vero vincitore della guerra e salverebbe anche molte vite.