Non cammino in una palude in cui può inghiottirmi la sabbia mobile, perché guardo in faccia le trasformazioni del nostro tempo fondata sulla salda roccia dell’irruzione del Dio che è Amore e che ha creato l’uomo e la donna. Da questo dato imprescindibile che, peraltro, è constatabile osservando la natura, s’innesta la redenzione di Gesù Cristo e scaturisce l’attenzione della Chiesa “mamma” che ci ha partorito e ci partorisce” come ama esprimersi Francesco.
Su questa differenza si gioca la nostra storia secolare, su questo noi costruiamo noi stessi e noi stesse.
Negare il dato biologico mi pare proprio dissennato perché nega un dato scientifico, non esprime ancora un dato di fede (per alcuni un edulcoramento), ma un rilievo che costituisce un’identità. Ne viene che, se dinanzi a un neonato che si presenta come una femmina decido di considerarlo ed educarlo come un maschio, opero una violenza di attribuzione e nego un dato scientifico in nome di un’ideologia.
Il timore di sembrare cavernicoli intellettualmente ci impedisce di osservare e rifiutare quanto sta dilagando sull’affermarsi del gender e di accettare supinamente di sconvolgere i nostri principi in nome di una discriminazione che, in realtà non esiste, e che invece si ribalta proprio su noi stessi, perché i discriminati saremmo proprio noi.
La carenza di una lucidità filosofica e di uno sguardo biblico serio ci porta a subire le ondate di una pseudo-cultura che vuole scardinare ogni principio biblico e cristiano. Indubbiamente l’affermazione di Simone de Beauvoir è stata strumentalizzata secondo i propri fini perché, quando io osservo una neonata, femmina, giustamente non ho ancora davanti a me una donna. Questa si viene costituendo con l’educazione e la crescita ma nel grembo di una famiglia, di un uomo e una donna che nell’amore reciproco, donano la vita come bene inestimabile ed eterno.
Non nel senso che sono io a decidere il sesso di chi è venuto alla luce, negando così la prima libertà di chi si ritrova nel tempo e nella storia e non viene rispettato e rispettata per quello che è.
La confusione mentale, il disagio con se stessi, il ritenersi arbitri assoluti e creatori di vita, sono le premesse per sragionare e dare vita a una corrente devastante che si vuole chiamare cultura ma che non ne porta i segni: non fa crescere le persone, le distrugge; non esalta la bellezza del corpo umano lo degrada a contenitore.
Dopo tanta psicanalisi e psicologia siamo regrediti, almeno Cartesio aveva scoperto la ghiandola pineale che univa corpo, pensiero e psiche.
Il nostro subconscio ricco di tanta storia, sentimenti e impressioni, deposti in un noi con i cromosomi, donati in un atto d’amore, come potrà trovare la sua armonia e godere della vita, quando viene sottoposto a una forzatura che lo determina a priori, invece di essere assecondato nel suo sviluppo? Si può chiamare liberazione? La ritengo la grande prigionia, la grande gabbia, una sorta di letto di Procuste moderno, che mi amputa fin dal primo respiro e mi costringe a non riconoscermi.
Parità di diritti della donna con l’uomo non significa negare la differenza e l’alterità, non è via di crescita e di dilatazione. Le categorie superiore e inferiore applicate all’uomo e alla donna devono riplasmarsi, riproporsi ma se la donna deve semplicemente adeguarsi e imitare, di fatto, nega la propria, preziosa alterità.
La strada è una sola: la donna si riconosca donna, l’uomo si riconosca uomo, ed insieme in piena armonia e rispetto, diventino co-creatori nel dono della vita. Sappiano reagire all’eruzione fangosa che, con la pretesa fasulla di non discriminare, discrimina perché cancella: si veda alla voce genitore 1 e genitore 2.
Dobbiamo saper reagire in nome di nostra madre e di nostro padre, di cui portiamo i tratti biologici, psichici, intellettuali, che ci hanno generato sì ma anche educato, imprimendo in noi quella stabilità interiore scaturita dai loro due volti, non dal numero 1 e dal numero 2 che non riescono a inserirsi in una testimonianza rispettosa del mio dato scientifico, psicanalitico e psicologico che, per me credente poggia su quel fango cui il Creatore donò il respiro e cui parlò: a lui e a lei, uomo e donna, potenziali padre e madre e non numeri.