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Irrompe la responsabilità dei cattolici sociali e anche della politica

Di Luigi Crimella

TORINO – Forme nuove di controllo di internet e della tv, perché non invadano le famiglie e la mente dei giovani con immagini sconvenienti e violenze verbali e morali.
Richiesta del voto per tutti i componenti di una famiglia, compresi i bambini, secondo il principio “ogni testa un voto”: per i più piccoli possono votare i genitori.
Adeguamento delle tasse e dei tributi al numero dei componenti della famiglia (“quoziente famigliare”), per evitare il paradosso che più figli comportino più tasse, come oggi è.
Sono queste alcune delle istanze emerse nella giornata del 13 settembre a Torino dalle relazioni e dai dibattiti alla Settimana Sociale sul tema della famiglia. Il cattolicesimo italiano, riunito nel capoluogo piemontese, non ha alcuna nostalgia di partito. Invece, la Settimana Sociale sta mostrando un volto significativo: è cresciuta la consapevolezza che l’ispirazione cristiana debba essere rilanciata. Il “bene comune” come principio ispiratore – si è detto – possiede una sua validità che sfida i tempi, compreso il nostro segnato dalla globalizzazione e in cui tutti siamo immersi.

Il “bene comune”, questo sconosciuto. Quello che si incontra girando per gli stand allestiti al Teatro Regio e nelle vicinanze su Piazza Castello è in realtà un mondo cattolico che, nelle sue diverse realtà, mostra uno stile pacato, riflessivo, sobrio, si potrebbe dire quasi “umile”. Questo mondo cattolico, ormai abituato a non avere più una rappresentanza politica unitaria, non ha perso lo slancio maturato negli ultimi 100 anni da quando l’economista Toniolo, di recente beatificato, dette vita alle Settimane Sociali. Lo scopo era, ed è, di diffondere i principi del “bene comune”, così largamente proposti dal magistero dei Papi degli ultimi 100 anni. I cattolici presenti a Torino hanno il senso del proprio “limite”: pur volendo offrire a tutte le componenti della società i grandi e intramontabili valori della dottrina sociale della Chiesa, sanno bene che non è affatto concluso lo “scontro” tra diverse visioni del mondo. Impostazioni iperliberiste continuano a convivere con eredità del marxismo, variamente vestite di “democrazia”, e tale confronto rischia di schiacciare ai margini la prospettiva dell’“economia sociale di mercato”, proposta dalla Chiesa, che non umilia la libera impresa valorizzando al contempo l’apporto dei lavoratori.

Una società sterile, che non fa figli. E poi non mancano gli allarmi condivisi anche da parte del mondo politico. Ne è stata un’autorevole testimonianza l’intervento del presidente del Consiglio dei ministri, Enrico Letta, giunto a Torino di prima mattina: “Quando mi chiedono qual è la caratteristica che mi crea più problema per il futuro del nostro Paese io rispondo che una è la caratteristica che racconta un’Italia in difficoltà: siamo una società sterile, che non fa figli”, ha detto. “Una società in cui la demografia ci dice che soltanto con il sostegno delle famiglie immigrate ed extracomunitarie teniamo il livello minimo di sopravvivenza – ha proseguito – ci deve dire che c’è un campanello di allarme sul futuro a cui dobbiamo dare delle risposte”. L’attuale capo del governo condivide quindi, almeno a questo livello, la preoccupazione per il crollo verticale delle nascite che uno dei relatori, il demografo Gian Carlo Blangiardo, ha illustrato a tinte pessimistiche. L’imperativo rimbalzato è, quindi, quello di “creare fiducia, perché senza fiducia le famiglie non fanno figli”. Anche se, sullo sfondo, rimane un altro “spettro” che va ben oltre l’aspetto demografico: non si fanno figli perché il valore della vita non è più considerato tale da parte di molti. E questo è un serio problema, almeno dal punto di vista cattolico.

Quanta confusione sotto il cielo. I convegnisti si stanno così misurando sulle ripercussioni verso la famiglia della globalizzazione, che introduce nel dinamismo sociale questioni esplosive: dalla richiesta di riconoscimento della cittadinanza ai figli d’immigrati nati in Italia, al permanere di esigenze di tutela delle famiglie più povere, che ultimamente sono aumentate di numero a seguito della crisi in corso; dalla richiesta di riconoscere le unioni omosessuali alla diffusione pervasiva della teoria del “Gender” che distrugge l’identità in formazione dei giovani, identità che da “sessuata” come è sempre stata, diviene ora indistinta e come indifferenziata. Questi temi rimbalzano tra le file dei partecipanti alla “Settimana” torinese, e sono stati approfonditi anche tramite assemblee tematiche. La Settimana Sociale, qualunque ne sarà l’esito finale, un risultato lo ha già raggiunto: ha messo tutta la Chiesa, dai pastori ai laici, dagli educatori agli operatori sociali e culturali di fronte a un dovere d’inedita portata: farsi carico della “grande confusione che c’è sotto il cielo”, dove oggi forse come non mai è urgente che la visione cristiana torni a farsi sentire, e lo faccia con particolare incidenza vista la gravità della condizione sociale, da tutti riconosciuta.

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