Di Luigi Crimella
Famiglie che si mettono “in rete”, come quelle che hanno dato vita a Milano, all’esperienza della scuola “La zolla”; o come tante altre associazioni tra famiglie che hanno dato vita a “comunità” di singolare vitalità, quali il “Condominio solidale”. È questa la strada per rilanciare la famiglia, oggi, in Italia, in un momento in cui sembra che la crisi la stia facendo da padrona? La terza giornata dei lavori della Settimana Sociale a Torino ha puntato su questo come fattore di auto-promozione della famiglia, nel momento in cui le famiglie da sole hanno il fiato corto (e spesso “saltano”) e quando il welfare Stateè sempre più compresso tra carenza di fondi e limiti burocratici. Attorno al dibattito che si è svolto oggi pomeriggio, in diretta Rai, al Teatro Regio di Torino, aleggiano le questioni vitali trattate nelle due prime giornate della Settimana Sociale. Basta dire che il presentatore della trasmissione “A sua immagine”, Rosario Carello, ha esordito affermando: “Io non voglio che nessuno mi chiami ‘Genitore 2’. Io non so voi: io non lo voglio”.
Il “Gender”, questo sconosciuto. Riemerge così, col “genitore 1” e “genitore 2”, la teoria del “Gender”, sottostimata forse all’interno del mondo cattolico. L’intervento due giorni fa del cardinale Angelo Bagnasco, in apertura dei lavori della “Settimana” torinese, ha sorpreso, perché il presidente dei vescovi italiani ha voluto dedicare proprio al “Gender” uno spazio e uno spessore di riflessione ampio, approfondito, inatteso. Ha presentato i presupposti e contenuti di questa teoria, che sostiene la liceità “progressista” della dissoluzione dell’identità sessuale, con tutte le conseguenze che ne conseguono. Ha poi argomentato riflettendo su natura e finalità del “Gender”, con le conseguenze naturali, demografiche, sociali e non ultime spirituali di tale perdita d’identità. Ma, ha concluso, a farne le spese sarà in ultima analisi proprio la famiglia, ammaccata e assediata sotto i duri colpi che prende da ogni parte.
Fino a quando l’assedio alla famiglia? Ecco quindi la sfida emersa oggi alla “Settimana” torinese: valutare a fondo, anche con l’aiuto di testimonianze ed esperienze diverse, se la famiglia ce la potrà fare da sola a superare questa temperie morale e spirituale che le è decisamente avversa. Oppure se sarà inevitabile che si debba ritirare in piccoli gruppi di auto-aiuto (le “reti”, appunto). Oppure ancora se all’interno della comunità cristiana potrà continuare nel suo percorso, ridotta di numero, circondata da esperienze para-familiari, quali single con legami affettivi “variabili”, libere convivenze, coppie di fatto, matrimoni civili, divorziati risposati, separati conviventi, coppie omosessuali. Questo è il panorama relazionale che si sta imponendo sempre più marcatamente da alcuni anni. Accanto alla “famiglia”, l’unica, quella fondata sul patto d’amore tra un uomo e una donna, ormai sono diventate statisticamente sempre più rilevanti le presenze degli altri tipi di “famiglie”, che tali propriamente non sono. I cattolici a Torino ne hanno preso atto e positivamente vogliono poter dire la loro. Dire “sì” se qualcosa è accettabile, dire “no” se va contro l’uomo, se lo danneggia oggettivamente, pur piacendo a qualcuno e magari essendo “politically correct”.
La proposta delle “reti” associative. A riflettere su questi temi così complessi, durante la diretta Rai, sono intervenute figure di primo piano quali lo psichiatra Vittorino Andreoli, la sociologa del Censis Elisa Manna, l’economista Leonardo Becchetti, la docente ed ex-sottosegretario Elena Ugolini. Ne è scaturito un dibattito vivace, le cui prospettive anche a volte diverse si sono integrate in un comune desiderio: la famiglia possa esprimersi nel pieno della sua autonomia e creatività. La sociologa Elisabetta Carrà, dell’Università Cattolica, ha illustrato le potenzialità relazionali, affettive ed educative della famiglia, proponendo l’associazionismo familiare come strumento di valorizzazione e promozione. Le “reti” – ha detto – possono operare in spirito solidaristico, migliorano i “beni relazionali” e offrono un vero “welfare sussidiario” a tutti i componenti della famiglia: dai genitori, ai figli, agli anziani. Quindi, la terza giornata di Torino ha raggiunto un traguardo: sancire una volta di più il valore unico della famiglia con genitori e figli, ma prospettare anche una dimensione ulteriore, quella dell’associazionismo tra famiglie che ne potenzia tutte le sue prerogative. Vedremo come nella giornata conclusiva questa prospettiva prenderà corpo e potrà venire assunta anche a livello pastorale, oltre che come proposta al mondo politico. E con quale “agenda” fatta di punti chiari, riconoscibili, improntati al “bene comune” e a quello della famiglia.
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