Creatività coraggiosa, conversione pastorale, accoglienza nella verità. Con la particolare attenzione alle “periferie esistenziali”, che sono anche quelle del “pensiero debole e povero”. Indicazioni che il vescovo di Roma lancia ai suoi sacerdoti nel primo incontro con il clero romano, nella mattina di oggi. Davvero un incontro “di famiglia”, come lo definisce il cardinale vicario, concluso dalla consegna di un dono al Papa, un’icona realizzata da don Massimo Tellan, parroco di San Giovanni Crisostomo. Un incontro confidenziale e diretto, nello stile cui Francesco ci ha abituati dall’inizio del pontificato, con i saluti personali a decine di sacerdoti prima di lasciare la basilica di San Giovanni in Laterano.
A tutto campo, il vescovo di Roma risponde alle domande dei sacerdoti, guardando con lucidità ai “problemi gravissimi della Chiesa”, ma senza pessimismi. “La Chiesa non crolla. Mai la Chiesa è stata tanto bene come oggi, è un momento bello della Chiesa, basta leggerne la storia. Ci sono santi riconosciuti anche dai non cattolici – pensiamo alla Beata Teresa – ma c’è una santità quotidiana di tanti uomini e donne, e questo dà speranza. La santità è più grande degli scandali”.
Un incontro segnato dal racconto di esperienze di vita a Buenos Aires e dalla richiesta di preghiera per lui, all’avvicinarsi del 60° anniversario – che cadrà il prossimo 21 settembre – di quel giorno in cui sentì per la prima volta lo sguardo di Gesù su di lui. E proprio alla necessità di tornare al “primo amore”, al primo sguardo di Gesù, il Papa invita i sacerdoti che gremiscono la basilica: lo fa nella riflessione che introduce l’incontro, scaturita dalla risposta alla lettera di un prete romano che condivideva con il vescovo la sua “fatica nel cuore”.
Un’espressione che ha riportato alla mente e al cuore del Papa quanto scriveva Giovanni Paolo II sulla “peculiare fatica del cuore” di Maria nella “Redemptoris Mater”. La fatica, però, fa parte della missione sacerdotale. “Quando un prete è in contatto con il suo popolo, si fatica”. Di fronte a questa fatica, chiarisce Francesco, c’è solo la risposta di Gesù: andare con i poveri, annunciare il Vangelo e andare avanti. Anche se certamente sono di aiuto “la preghiera davanti al tabernacolo, la vicinanza con gli altri preti e la vicinanza del vescovo”. E la memoria di momenti come l’inizio della vocazione, l’ingresso in Seminario, l’ordinazione sacerdotale: “La memoria è il sangue nella vita della Chiesa”.
Numerosi i temi che emergono dalle cinque domande (a porle sono padre Carbonaro, don Mortigliengo, don Le Pera, don Sparapani, don Brienza) e che meritano risposte articolate. “Accoglienza cordiale” è la parola su cui insiste il Papa. “I fedeli si sentano a casa”, sottolinea. Un’accoglienza – il riferimento è in particolare alle coppie conviventi – da esercitare però nella verità. “Dire sempre la verità”, sapendo che “la verità non si esaurisce nella definizione dogmatica”, ma si inserisce “nell’amore e nella pienezza di Dio”. Il prete deve quindi “accompagnare”. Basti pensare, afferma Francesco, ai discepoli di Emmaus, a come “il Signore li ha accompagnati e ha riscaldato loro il cuore”.
L’invito di Francesco ai preti del clero romano è poi a intraprendere “strade coraggiosamente creative”. E cita esempi vissuti a Buenos Aires, come l’apertura di alcune chiese per tutta la giornata con la disponibilità di un confessore o l’avvio di “corsi personali” per le coppie che intendono sposarsi ma non possono frequentare i corsi prematrimoniali perché lavorano fino a tardi. Restano prioritarie le “periferie esistenziali”, che sono anche “quelle delle famiglie”, di cui ha parlato più volte Benedetto XVI, come il tema delle seconde nozze. Il nostro compito, dice, è “trovare un’altra strada, nella giustizia”.
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