La crisi internazionale in Siria e il continuo flusso di profughi e richiedenti asilo per cause umanitarie legato anche ad altri conflitti in corso, sottopongono alcuni Paesi europei a uno sforzo di notevoli dimensioni: di accoglienza, di gestione dell’emergenza medica e sociale. Il tutto con costi economici non trascurabili. L’Europa unita non ha ancora trovato l’intesa per varare un’azione comune, e se gli sforzi profusi da Italia, Spagna o Malta sono conosciuti, non altrettanto si può dire di quanto accade in Austria, che da sempre ha avuto contatti con chi, dai Paesi dell’Oriente vicino o remoto, si presentava ai confini dell’Europa.
Fra politica e carità. Nella storia l’Austria, e la sua capitale, Vienna, sono ricordate per essere state l’ultimo baluardo contro l’espansione dell’islam ottomano, nella battaglia vinta dall’esercito cristiano esattamente 330 anni fa, l’11-12 settembre 1683. Nel 2012, con 17.425 nuove richieste di asilo, l’Austria era invece al sesto posto tra i Paesi dell’Ue che hanno accolto profughi. La scelta austriaca di intervento umanitario inizia in loco, direttamente nelle aree di crisi: “Il numero dei rifugiati in Libano aumenta ogni giorno di più – racconta Andreas Zinggl dal campo libanese per i profughi siriani di Nasr el Bared, vicino a Tripoli -, ma dopo due anni di guerra a Damasco almeno qui hanno un tetto sicuro”. Andreas è un operatore Caritas che lavora nei campi profughi: “Qui a Nasr el Bared c’è anche il dramma dei profughi palestinesi che erano nei campi in Siria e che ora sono dovuti scappare da lì. Nuclei familiari ricomposti condividono le case con nuovi arrivati – continua Zinngl -, ma il vero problema ora è la diffusione di malattie polmonari, malattie diarroiche, e l’aumento della frequenza delle malattie della pelle, soprattutto tra i bambini, scabbia e leishmaniosi”. La situazione narrata da Stefan Maier, coordinatore per Caritas Austria nel Medio Oriente è quella delle famiglie composte solo da donne e bambini traumatizzati: “Sono tanti i casi come quelli di Roda, una ragazza di 25 anni di Homs fuggita coi suoi 4 figli dopo che marito e fratello sono stati uccisi”. Il dramma di queste donne sole è l’insicurezza assoluta: “Il padre di Roda è stato sgozzato al primo posto di blocco in Siria durante la fuga – prosegue Maier -. Noi lavoriamo soprattutto sulle necessità primarie, ma ci fermiamo anche a giocare coi bambini, che qui, al campo di Dalhamieh, sono sempre di più”.
Raccolta di fondi e beni di conforto. In tutte le parrocchie austriache le Caritas locali e i volontari di Diakonie, l’organizzazione sociale delle chiese protestanti, stanno effettuando le raccolte per il pacco familiare mensile da 60 euro con alimenti di prima necessità e kit igienici e pannolini per i bambini per le azioni umanitarie nei campi profughi. In particolare le organizzazioni umanitarie dei land di confine come il Voralberg e il Vienna/Lower Ost sono attive per ottimizzare i sistemi di accoglienza di tutti i profughi e richiedenti asilo: “È costante la ricerca di persone che insegnino il tedesco, soprattutto ai bambini, un processo che abbiamo avviato già coi profughi della Cecenia – come dice Anja Peintner del Centro servizi volontariato di Feldkirch -; c’è bisogno di un numero sempre maggiore di operatori, visto l’aumento degli arrivi per cause umanitarie”. Nel Paese alpino, inoltre, è in atto la campagna “Nachbar in Not” (“Vicino nel bisogno”), ossia una raccolta di fondi organizzata dalla Caritas nazionale, dall’emittente Orf e dalla Croce Rossa, ripetendo un’analoga azione dello scorso maggio che procurò donazioni per 1,9 milioni di euro: “Le persone che sono dovute fuggire” da casa loro, dal Paese d’origine, “hanno in gran parte perso tutto ciò che avevano. Per lo più sono donne e bambini, spesso con grossi traumi, e hanno bisogno del nostro sostegno”, ha affermatoChristoph Schweifer, segretario generale della Caritas per le questioni internazionali. Alla raccolta hanno aderito, oltre ai promotori, anche Care, Diakonie, Hilfswerk, Ordine di Malta, i Samariter e Volkshilfe.
Proteste e arresti. Nel novembre dello scorso anno alcuni rifugiati stanziati in un centro di prima accoglienza nelle vicinanze di Vienna avevano iniziato una serie di manifestazioni contro la politica di asilo austriaca compiendo una marcia di protesta. Poco prima di Natale, erano stati allontanati dal parco al centro della città in cui erano accampati, rifugiandosi poi nella Votivkirche: l’arcidiocesi e il cardinale Christoph Schönborn hanno offerto loro protezione, la Caritas li ha assistiti. Dopo diversi mesi trascorsi nella Votivkirche, i rifugiati sono stati portati in un convento dei Serviti dell’arcidiocesi, tutt’ora assistiti dalla Caritas e da altre organizzazioni a carattere sociale. Il card. Schönborn, presidente della Conferenza episcopale austriaca, ha tra l’altro fatto appello al ministero degli Interni per la liberazione di dieci pachistani, arrestati il 28 luglio per essere espulsi: appartenevano al gruppo alloggiato presso il convento dei Serviti. L’arcivescovo in un duro comunicato del 29 luglio chiedeva ai politici quale ruolo giocasse il periodo di campagna elettorale rispetto alle decisioni verso gli stranieri, ribadendo che il Pakistan non è da considerarsi un Paese sicuro per il rispetto dei diritti umani e ha deplorato anche le condizioni in cui si è svolto tale arresto. La Chiesa austriaca prosegue anche così il suo tratto di strada accanto a profughi e stranieri.