NAPOLI – Il miracolo si è compiuto. Questa volta puntuale alle 9,41 del 19 settembre il sangue di San Gennaro si è liquefatto. A dare l’annuncio il cardinale Crescenzo Sepe che, come è consuetudine, ha dato l’annuncio ai fedeli raccolti in preghiera nel duomo di Napoli sventolando il fazzoletto bianco. Quello del miracolo di San Gennaro è un appuntamento molto atteso che ha radice antichissime e che porta tutta la comunità napoletana sparsa nel mondo ad aspettare in preghiera il ripetersi del prodigio in un miscuglio fra religione e superstizione. Sembra, infatti, che se si ripete nei giorni stabiliti durante la funzione dedicata allora sia foriero di buoni auspici per la città e i suoi abitanti. Nel caso in cui, invece, come è capitato, non dovesse verificarsi puntuale ma con ritardi allora qualche sventura è attesa.
Si tratta di un rito risalente al 315 dopo cristo. Nel 305 l’allora vescovo di Benevento fu martirizzato. Si ritiene che la sua nutrice ne raccolse il sangue in due ampolle per consegnare poi la preziosa reliquia al vescovo di Napoli, tutt’oggi conservata in una cassaforte con doppia serratura nel Duomo di Napoli. Nel 315 il sangue si liquefece per la prima volta. Il giorno della festa di San Gennaro, il 19 settembre appunto, le ampolle vengono esposte ai fedeli che attendono nei pressi dell’altare il “miracolo” dello scioglimento del sangue con suppliche, preghiere e litanie in dialetto.
Proseguiamo con un articolo di Gigliola Alfaro
“Quanta sofferenza nel mondo e nel nostro popolo!”. È il grido lanciato, stamattina, dal cardinale Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli, nell’omelia per la festa di San Gennaro, dopo la prodigiosa liquefazione del sangue del protettore della città e della diocesi. Una sofferenza che “viene dalla mancanza di lavoro, dalla prepotenza malavitosa, dalla distruzione dell’ambiente” e che ha ridotto Napoli “sull’orlo di un grave collasso”. Ma, ha avvertito il porporato, “non è più tempo di elemosine e di assistenzialismo”. Questa città vuole camminare “sulle proprie gambe”, con l’aiuto di “uomini e donne di buona volontà” che vogliano e sappiano accompagnarla in “questo cammino”, che “è doveroso e legittimo”.
Una frustata. “È stata un’omelia molto forte, nella linea pastorale del cardinale, che ha voluto scuotere le coscienze di chi governa e dei napoletani”. È il parere espresso da Maria Pia Condurro, direttore – insieme con il marito – della Consulta delle aggregazioni laicali della diocesi di Napoli. Quella di Sepe, aggiunge, “è una pastorale molto missionaria che punta molto sul ‘diamoci da fare insieme’. Perché, come ha scritto nella sua lettera pastorale, ‘Canta e cammina’, si canta in coro per combattere i mali che affliggono la città”. Insomma, “le parole di oggi sono state una frustata a chi ha delle responsabilità. Responsabilità delle quali, secondo il cardinale, tutti dobbiamo farci carico, uscendo dalle sagrestie. E adesso ci ha detto anche che dobbiamo far presto, perché siamo arrivati sull’orlo del precipizio”. Per Condurro, “non abbiamo bisogno di miracoli, ma di muoverci. Dio è con noi, come dimostra il prodigio della liquefazione del sangue di San Gennaro, ma chiede la nostra buona volontà: siamo noi i piedi e le mani di Dio, di qui l’invito di Sepe a scuoterci. Adesso spetta a ognuno di noi fare la propria parte, insieme con gli altri. Dobbiamo trovare noi, spronati dal cardinale, la forza per essere missionari nel mondo, chinandoci non solo sulle povertà, ma essendo attivamente protagonisti di un riscatto della città, forti della nostra fede. Il vero miracolo deve avvenire dentro di noi, ormai il tempo è maturo”.
Un invito a non rassegnarsi. “Le parole del cardinale mi sono sembrate un richiamo a non rassegnarsi”. Lo afferma Antonio Mattone, portavoce della Comunità di Sant’Egidio di Napoli e direttore della Pastorale sociale e del lavoro diocesana. Di fronte alle “drammaticità” della disoccupazione giovanile, dello “stupro della natura” e della camorra, evidenzia Mattone, “il cardinal Sepe, da un lato, richiama la politica, ormai inerte, che non fa niente per rilanciare Napoli; dall’altro, invita tutti a rimboccarsi le maniche. Il suo è stato un incoraggiamento ai napoletani a riprendersi la propria città e a lottare per cambiare la sorte di una realtà al collasso completo. Come dimostra l’indifferenza verso i più deboli, come gli anziani. Il welfare è inesistente, le case destinate agli anziani sono occupate da abusivi”. Napoli “ha bisogno di tornare a essere la città dal volto umano che è stata per tanto tempo, dove regnava il buon vivere, l’aiuto reciproco, la solidarietà, il preoccuparsi anche degli interessi del vicino”.
Educazione al bene comune. “Il cardinal Sepe chiede a tutti un impegno per il riscatto della città. Ed è questo anche lo stile dell’Azione cattolica, alla quale sta da sempre a cuore il bene comune”, dice Giuseppe Bottalico, vice presidente dell’Azione cattolica diocesana di Napoli, settore adulti. “C’è tutto un percorso da fare – evidenzia Bottalico – nell’educazione alla cittadinanza e al bene comune. Questo significa anche educazione all’impegno sociale e politico, che non deve essere di pochi eletti, ma di tutti. Come diceva don Bosco, dobbiamo essere ‘buoni cristiani e buoni cittadini’”. Questa è “la sfida a cui ci chiama il cardinal Sepe, che ci invita anche a riprendere la Dottrina sociale della Chiesa nei cammini formativi”. Perciò, “come Ac quest’anno lavoreremo molto sull’attenzione al bene comune. Ed è una grande frontiera a Napoli, perché educare al bene comune vuol dire anche educare alla legalità e alla socialità, partendo dai piccoli gesti quotidiani, come pagare il biglietto dell’autobus o pretendere lo scontrino fiscale. L’illegalità diffusa, infatti, costituisce il terreno fertile per la camorra”.