Di Marco Doldi
Esiste qualcosa di assoluto o tutto è contingente? C’è una verità valida per tutti o ci si deve accontentare di quello che è giusto in una determinata situazione? Non di rado, qui sono nate le contrapposizioni tra chi voleva difendere l’immutabilità della verità e chi sentiva questo come un’ingiusta oppressione. Molte volte, i primi hanno assunto il ruolo di difensori della verità, mentre, gli altri quello di difensori dell’uomo e della sua libertà. A chi dare ragione? Chi ascoltare?
In questo delicato campo è entrato anche Papa Francesco, a cui è stato chiesto se il pensiero secondo il quale non esiste alcun assoluto e quindi neppure una verità assoluta, ma solo una serie di verità relative e soggettive, sia un errore o un peccato. La risposta è impressionante e per nulla scontata. Egli, infatti, conduce a riflettere sul significato di “assoluto”. Etimologicamente, l’aggettivo indica ciò che è libero da relazioni o, anche, da limiti e da condizionamenti. “Io non parlerei – precisa il Papa – di verità assoluta, nel senso che assoluto è ciò che è slegato, ciò che è privo di ogni relazione” (Lettera a chi non crede). Questa, infatti, non è la concezione di verità secondo il cristianesimo.
Piuttosto, occorre partire dal fatto che la verità è, fondamentalmente, lo svelamento di qualcosa o una rivelazione; nel senso cristiano è la rivelazione che Dio fa di sé e del suo progetto d’amore. “La verità, secondo la fede cristiana, è l’amore di Dio per noi in Gesù Cristo. Dunque, la verità è una relazione!” Ora, le parole di Papa Francesco devono essere comprese a questo livello e non è lecito scendere e tirarle, ora da una parte, ora da un’altra. Egli sta parlando come uomo di fede: poco prima ha ricordato come la fede in lui sia nata dall’incontro con Gesù Cristo; un incontro personale, che ha toccato il suo cuore e ha dato un senso nuovo alla sua esistenza. Insomma, la verità cristiana, in quanto è una Persona, che ha detto “io sono la via, la verità e la vita” (Gv 14,6), è un invito alla relazione e alla sequela.
Il cristianesimo ha dunque precisato il senso in cui comprendere l’assolutezza della verità: quello della relazione con Dio. Con questo si cede al relativismo? Si mina la verità nel suo fondamento? Proprio per nulla: se la verità è relazione, precisa Papa Francesco “ciò non significa che la verità sia variabile e soggettiva, tutt’altro”. Significa che nessuno può ingenuamente pensare di possedere la verità e portarla agli altri, perché “essa si dà a noi sempre e solo come un cammino e una vita”. Richiede umiltà ed amore per essere accolta come qualcosa che ci precede.
Questo è il pensiero del Papa: non è difficile da comprendere; forse lo è da accettare da parte di chi non crede, perché fa riferimento proprio a Gesù Cristo. Si può sentire lontano dal proprio orizzonte esistenziale, ma non si può dire che manchi di logica o che sia una rottura con quanto la Chiesa ha sempre pensato.
Certamente, non si può accusare Papa Francesco di essere relativista! Non c’è nulla dalle sue parole lette e ben comprese che conduca a questo. Il fatto che ognuno colga la verità a partire da se stesso e dalla sua storia non significa che ciascuno si costruisca la sua verità. Piuttosto, che la verità raggiunge l’uomo là dove si trova e lo illumina. “Lumen fidei” l’enciclica che fa da ponte e da continuità agli ultimi due pontificati insegna che “il credente non è arrogante, al contrario, la verità lo fa umile, sapendo che, più che possederla noi, è essa che ci abbraccia e ci possiede” (34). Parola di Francesco e, in lui, di Benedetto.
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