Papa Francesco e il cuore della fede: la misericordia, la bontà, la comprensione, la presenza tra la gente. Quattro parole per essenzializzare la lunga quanto umana intervista rilasciata a Civiltà Cattolica. Da dove partire oggi per annunciare Cristo? Da un atteggiamento materno. Dalla “capacità di curare le ferite e di riscaldare il cuore dei fedeli”. Ossia il baricentro della missione, anzi della missionarietà, della Chiesa è la persona, i suoi bisogni. Non sono un uomo e una donna astratti ma degli individui in situazione, dentro la vita e spesso travolti dalle circostanze. Sono in fondo gli uomini e le donne che Cristo incontra lungo le strade della Palestina: dall’orgogliosa Samaritana alla peccatrice pentita ma giudicata dai detentori della morale, da Zaccheo l’imbroglione al centurione umile supplicante la guarigione del servo al figliol prodigo, da Pietro l’entusiasta a Giuda il traditore. Il Signore ha guardato a loro e si è preso cura di ciascuno.
Questa è la Chiesa in situazione, immersa nella nostra storia, lontana dal relativismo ma non dall’esistenza travagliata. Questo è il vero volto del cristianesimo. Non è come vorrebbero alcuni, anche nel mondo laico, una sorta di custode dell’etica, dei “precetti”, dei divieti, di una libertà coatta. Non è la comunità cristiana un gendarme che comprime il libero arbitrio per condannare. Certamente questa Chiesa, che piace a Papa Francesco, ha una dottrina sul matrimonio, sulla omosessualità, sul divorzio, sull’uomo, su Dio. Ma guai a soccombere ad una ossessione: “La trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine da imporre con insistenza”.
Per esemplificare senza infingimenti diplomatici o sornioni, Papa Francesco non corregge nulla nella dottrina, anzi aggiunge che la Chiesa “ha diritto d’esprimere la propria opinione” nel contesto della nostra società. Solo che la stessa dottrina, come sono appunto i dieci comandamenti, va intesa come parola e atto d’amore. Non è una corazza da indossare per difendersi dal mondo o un fortino dell’ortodossia per escludere, per giudicare.
“Il confessionale non è una sala di tortura, ma il luogo della misericordia nel quale il Signore ci stimola a fare meglio che possiamo”. Ecco questa è – deve essere – la Chiesa “madre e pastora”. Capace di includere nella sua pastorale le situazioni più complesse della vita, dove decidere per il meglio è complicato, doloroso. “La santità io la associo spesso alla pazienza: non solo la pazienza come hypomoné, il farsi carico degli avvenimenti e delle circostanze della vita, ma anche come costanza nell’andare avanti, giorno per giorno”.
Questa santità della pazienza e della costanza è per Papa Francesco la prima e fondamentale riforma della Chiesa. Da questa riforma interiore, continua e perenne, vengono le riforme esterne. Esse però non sono frutto di un atto solitario ma vengono dall’ascolto, che in concreto significa “consultazioni”: “Voglio consultazioni reali, non formali”. Significa – spiega Papa Francesco scrutare, ascoltare “il popolo soggetto”: “La Chiesa quale popolo di Dio in cammino nella storia, con gioie e dolori. E per tutti pastori e laici occorre comprendere che: ‘Sentire cum Ecclesia’ che per me è essere in questo popolo. E l’insieme dei fedeli è infallibile nel credere, e manifesta questa sua infallibilitas in credendo mediante il senso soprannaturale della fede di tutto il popolo che cammina”. Infine sentire con la Chiesa è sentire insieme con il genio femminile “ampliando gli spazi di una presenza femminile più incisiva nella Chiesa”.
Di fatto l’intervista è un programma e nello stesso tempo la traduzione per il terzo millennio della Gaudium et Spes. Un progetto d’applicazione del Concilio Vaticano II. Perché è possibile amare senza giudicare. Annunciare senza indottrinare. Insomma stare nel mondo con tenerezza.
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