CITTÀ DEL VATICANO – La Civiltà Cattolica pubblica oggi una lunga intervista a papa Francesco, curata dal direttore padre Antonio Spadaro SJ. L’intervista, che esce contemporaneamente su altre 16 riviste della Compagnia di Gesù in tutto il mondo, è stata rilasciata dal Papa, nel suo studio privato a Santa Marta, nel corso di tre appuntamenti il 19, il 23 e il 29 agosto. In circa trenta pagine Jorge Mario Bergoglio traccia un identikit inedito di se stesso, che include anche le preferenze artistiche e culturali; primo Papa gesuita della storia spiega l’idea che ha della Compagnia di Gesù; analizza il ruolo della Chiesa oggi e indica le priorità dell’azione pastorale; affronta le domande che la società e l’antropologia contemporanea pongono all’annuncio del Vangelo.
Nella prima parte del lungo colloquio Francesco si definisce «un peccatore al quale il Signore ha guardato». Quindi rilegge la sua storia di gesuita, anche riguardo ad alcuni momenti difficili: «Il mio modo autoritario e rapido di prendere decisioni mi ha portato ad avere seri problemi e a essere accusato di essere ultraconservatore». Un’esperienza difficile che oggi mette a frutto: ricordando il suo ministero episcopale in Argentina, dice di aver capito quanto sia importante «la consultazione»: «I Concistori, i Sinodi sono, ad esempio, luoghi importanti per rendere vera e attiva questa consultazione. Bisogna renderli però meno rigidi nella forma. Voglio consultazioni reali, non formali». Quanto ai dicasteri romani sottolinea: «Sono mediatori, non gestori».
Il Papa spiega come la formazione da gesuita, e in particolare «il discernimento», lo aiutino a vivere meglio il suo ministero: «Per Sant’Ignazio i grandi princìpi devono essere incarnati nelle circostanze di luogo, di tempo e di persone. E’ fare le cose piccole di ogni giorno con un cuore grande e aperto a Dio e agli altri». In particolare sul tema delle riforme: «Molti, ad esempio, pensano che i cambiamenti e le riforme possano avvenire in breve tempo. Io credo che ci sia sempre bisogno di tempo per porre le basi di un cambiamento vero, efficace. E questo è il tempo del discernimento. E a volte il discernimento invece sprona a fare subito quel che invece inizialmente si pensa di far dopo. Ed è ciò che è accaduto anche a me in questi mesi».
Quanto alla Compagnia di Gesù Francesco ne traccia un identikit preciso: «Il gesuita è un decentrato. La Compagnia è in se stessa decentrata: il suo centro è Cristo e la sua Chiesa. Dunque: se la Compagnia tiene Cristo e la Chiesa al centro, ha due punti fondamentali di riferimento del suo equilibrio per vivere in periferia. Se invece guarda troppo a se stessa, mette sé al centro come struttura ben solida, molto ben ‘armata’, allora corre il pericolo di sentirsi sicura e sufficiente». Inoltre, «Il gesuita pensa sempre, in continuazione, guardando l’orizzonte verso il quale deve andare. Questa è la sua vera forza. E questo spinge la Compagnia a essere in ricerca, creativa, generosa».
L’immagine di Chiesa che papa Francesco preferisce è quella espressa dal Vaticano II nella Lumen Gentium, «del santo popolo fedele di Dio. Sentire cum Ecclesia per me è essere in questo popolo. E l’insieme dei fedeli è infallibile nel credere, e manifesta questa sua infallibilitas in credendo mediante il senso soprannaturale della fede di tutto il popolo che cammina. Non bisogna dunque neanche pensare che la comprensione del ‘sentire con la Chiesa’ sia legata solamente al sentire con la sua parte gerarchica»: riguarda tutta la Chiesa, popolo e pastori.
Una Chiesa che Francesco non riduce a «una piccola cappella che può contenere solo un gruppetto di persone selezionate. Non dobbiamo ridurre il seno della Chiesa universale a un nido protettore della nostra mediocrità». Il Papa sogna «una Chiesa Madre e Pastora». «La Chiesa è feconda, deve esserlo. Quando mi accorgo di comportamenti negativi di ministri della Chiesa o di consacrati o consacrate, la prima cosa che mi viene in mente è: ‘ecco uno scapolone’, o ‘ecco una zitella’. Non sono né padri, né madri. Non sono stati capaci di dare vita».
La cosa di cui la Chiesa ha più bisogno? «La capacità di curare le ferite e di riscaldare il cuore dei fedeli, la vicinanza, la prossimità… E bisogna cominciare dal basso». «Io vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia. E’ inutile chiedere a un ferito grave se ha il colesterolo e gli zuccheri alti! Si devono curare le sue ferite. Poi potremo parlare di tutto il resto». «La Chiesa a volte si è fatta rinchiudere in piccole cose, in piccoli precetti. La cosa più importante è invece il primo annuncio: ‘Gesù Cristo ti ha salvato!’. E i ministri della Chiesa devono innanzitutto essere ministri di misericordia». «Le riforme organizzative e strutturali sono secondarie, cioè vengono dopo. La prima riforma deve essere quella dell’atteggiamento. I ministri del Vangelo devono essere persone capaci di riscaldare il cuore delle persone, di camminare nella notte con loro, di saper dialogare e anche di scendere nella loro notte, nel loro buio senza perdersi. Il popolo di Dio vuole pastori e non funzionari o chierici di Stato».
Tra le altre domande il direttore di Civiltà Cattolica torna su questioni complesse – divorziati risposati, persone omosessuali – e chiede quale pastorale fare in questo casi. «Bisogna sempre considerare la persona. Qui entriamo nel mistero dell’uomo. Nella vita Dio accompagna le persone, e noi dobbiamo accompagnarle a partire dalla loro condizione. Bisogna accompagnare con misericordia».
Una pastorale missionaria, dice Francesco, «non è ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine da imporre con insistenza. L’annuncio di tipo missionario si concentra sull’essenziale, che è anche ciò che appassiona e attira di più, ciò che fa ardere il cuore, come ai discepoli di Emmaus. Dobbiamo quindi trovare un nuovo equilibrio, altrimenti anche l’edificio morale della Chiesa rischia di cadere come un castello di carte, di perdere la freschezza e il profumo del Vangelo. La proposta evangelica deve essere più semplice, profonda, irradiante. È da questa proposta che poi vengono le conseguenze morali».
Il tema del primato petrino apre la prospettiva di una diversa visione della sinodalità, che «va vissuta a vari livelli. Forse è il tempo di mutare la metodologia del Sinodo, perché quella attuale mi sembra statica». Una prospettiva che sarebbe nuovo fiato al cammino ecumenico. Con le altre Chiese, dice il Papa, «dobbiamo camminare uniti nelle differenze: non c’è altra strada per unirci. Questa è la strada di Gesù».
Padre Spadaro propone a Francesco il tema della donna nella Chiesa: «Bisogna lavorare di più per fare una profonda teologia della donna. (…) Il genio femminile è necessario nei luoghi in cui si prendono le decisioni importanti. La sfida oggi è proprio questa: riflettere sul posto specifico della donna anche proprio lì dove si esercita l’autorità nei vari ambiti della Chiesa».
Nei passaggi finali la conversazione torna su un tema che sta molto a cuore al papa. «Dio lo si incontra camminando, nel cammino». Non «è relativismo» dice, ma va «inteso in senso biblico, per cui Dio è sempre una sorpresa, e dunque non sai mai dove e come lo trovi, non sei tu a fissare i tempi e i luoghi dell’incontro con Lui. Bisogna dunque discernere l’incontro. Per questo il discernimento è fondamentale». Non bisogna rinchiudersi in un passato che paralizza. «Se il cristiano è restaurazionista, legalista, se vuole tutto chiaro e sicuro, allora non trova niente. La tradizione e la memoria del passato devono aiutarci ad avere il coraggio di aprire nuovi spazi a Dio».
«Chi oggi cerca sempre soluzioni disciplinari, chi tende in maniera esagerata alla ‘sicurezza’ dottrinale, chi cerca ostinatamente di recuperare il passato perduto, ha una visione statica e involutiva. E in questo modo la fede diventa una ideologia tra le tante. Io ho una certezza dogmatica: Dio è nella vita di ogni persona. Anche se la vita di una persona è un terreno pieno di spine ed erbacce, c’è sempre uno spazio in cui il seme buono può crescere. Bisogna fidarsi di Dio».