telecomDi Nicola Salvagnin

Due aziende-simbolo dell’economia italiana, due bandiere tricolori stanno per essere ammainate, per far posto a quelle straniere: Alitalia pare ormai destinata a diventare proprietà francese; Telecom ad avere un padrone spagnolo. Per noi, sono in definitiva brutte notizie, e non tanto per la carenza di “italianità” nella stanza dei bottoni, quanto perché perdiamo da una parte l’ex compagnia di bandiera; dall’altra la nostra principale (e ormai unica) azienda di telecomunicazioni.
Nel primo caso – Alitalia – significa che le rotte dei suoi aerei saranno quelle che più interesseranno (per motivi economici o geopolitici) i nuovi proprietari di Air France-Klm. Se il sistema-Paese volesse orientare le proprie esportazioni verso il Sud-Est asiatico, magari con voli che partono dalle nostre regioni più produttive, ora deve solo sperare che qualche compagnia straniera sia interessata a collegare Milano con la Cina, il Vietnam o l’Indonesia. Sennò si fa il giro dell’oca degli aeroporti, mentre i manager stranieri sono già arrivati a destinazione… E figuriamoci portare qui, in uno dei Paesi più turistici del mondo, i milioni di futuri visitatori indiani, cinesi, malesi. Arriveranno se ci saranno voli comodi e diretti. Altrimenti, che belle Parigi o Londra!
Molto più preoccupante è la vicenda Telecom. Primo, perché a comprare saranno gli spagnoli di Telefonica, che hanno ancor più debiti della nostra azienda. Due debolezze raramente fanno una forza. Poi, perché Telecom è finora stata la proprietaria della rete di comunicazioni, dell’infrastruttura fisica: la diamo a un’azienda straniera? E infine, mancando una grande realtà italiana, perché mai uno straniero dovrebbe fare grandi investimenti proprio qui, per dotarci di quelle nuove infrastrutture su cui viaggia internet e che già ora sono vitali? Magari lo farà; magari no perché non vi trova grande convenienza, oppure perché non ha i mezzi economici per farlo.
E pensare che l’Alitalia e la vecchia Stet erano due aziende-gioiello. Nonostante l’inefficiente padrone statale, godevano di un regime di monopolio, caduto il quale sono cadute pure loro. Alitalia, da splendido biglietto da visita italiano negli anni del boom, era diventata un carrozzone che già cinque anni fa sarebbe finito in mani francesi se l’allora governo Berlusconi non l’avesse messa in mano ad alcuni imprenditori italiani, con una generosa dote pubblica. Sono stati bruciati 5 miliardi di euro, gli imprenditori sono in fuga e finirà ai francesi per un piatto di lenticchie, magari pagato da noi.
Telecom, invece, è il peggior frutto delle privatizzazioni anni Novanta, in altri casi riuscite bene. Gli imprenditori privati che la acquistarono, lo fecero tutto a debito: questo sarebbe stato saldato con i proventi della telefonia. Un successivo passaggio di mano, con le stesse modalità, accrebbe il già enorme debito mentre i profitti aziendali continuavano a calare a causa della spietata concorrenza. Anche qui gli attuali soci italiani, stufi di perdere soldi, sono in fuga, lasciando il campo libero agli spagnoli.
Considerato che la Fiat è ormai Chrysler, che Pirelli rischia anch’essa di finire in mani straniere, che le banche non se la passano troppo bene, che Finmeccanica ha un futuro incertissimo e che la moda e l’agroalimentare sono preda di shopping straniero, non restano che l’Eni, le Generali e un’indebitatissima Enel a dare consistenza al sostantivo “grande industria”. In attesa che i campioni della “media” facciano l’ulteriore passo dimensionale, l’Italia si ritrova povera di grandi motori dello sviluppo economico.

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