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Lo sdegno e il coraggio, lettera aperta sull’oratorio

Riceviamo e pubblichiamo una riflessione di don Gianni Croci, parroco della SS. Annunziata, nonché delegato per la pastorale diocesana e membro dell’equipe oratori:

“Mentre nella mente e nel cuore si rincorrono le immagini e le parole dell’incontro di Papa Francesco con i giovani sardi,  suscitando gioia, passione, forza, voglia di continuare a gettare le reti, arriva una telefonata che mi porta in un altro mondo! Ancora una volta ci sono ‘lamentele’ su un’iniziativa dell’equipe oratori. Vi confesso che la cosa comincia a preoccuparmi, non per le eventuali critiche, ma per un atteggiamento che a me pare poco ecclesiale e fraterno.

L’anno scorso mi è stato chiesto di far parte dell’ equipe oratori e, forse con troppa incoscienza, siccome non sono abituato a dire subito dei ‘no’ ad una richiesta, ho accettato di collaborare in questo campo a me pressoché sconosciuto.

Ho trovato un gruppo di persone intenzionate a non rimanere a guardare, mentre certi mercanti vendono morte ai nostri giovani, lasciandoli tristi, annoiati e senza speranza. E’ poi arrivato anche l’incoraggiamento dei Vescovi italiani con la nota “Il laboratorio dei talenti”. Non mi è del tutto chiaro il progetto di oratorio adatto per la nostra situazione: non è facile leggere i bisogni e trovare le risposte adeguate. Ho capito però che si tratta di costruire quel ponte tra la strada e la parrocchia, dove tutti coloro che lavorano con le nuove generazioni sono chiamati ad impegnarsi. Non ci ripete forse Papa Francesco che, come chiesa, tutti ed insieme dobbiamo andare alle periferie esistenziali?!

In equipe ho trovato don Tiziano e qualche altro prete, il responsabile del Centro Sportivo, la presidente dell’Azione Cattolica, un rappresentante degli Scout ed alcuni referenti degli oratori parrocchiali. Abbiamo cominciato a lavorare con tutti i nostri limiti, cercando di programmare insieme momenti di formazione per gli animatori e di incontro per i ragazzi. Mai e a nessuno è balenata l’idea dello scontro o del raffronto con altre realtà ecclesiali! Così è nata l’idea di una Veglia di Avvento e il desiderio di preparare, insieme alla Consulta laicale, la GMG diocesana per il mercoledì santo.

In questi momenti organizzati con tanta passione, ma anche con tanti limiti, ho visto dei giovani che si sono incontrati, che, un po’ a modo loro, hanno pregato e si sono confrontati; pensavo che tutti ne potevamo essere contenti, perché era il frutto di un impegno comune. Ma non è stato così! Anzi sono iniziate ‘le lamentele’!

Ha detto Papa Francesco ai giovani sardi: “C’è la minaccia del lamento, della rassegnazione. Questi li lasciamo a quelli che seguono la “dea lamentela”! E voi, seguite la “dea lamentela”? Vi lamentate continuamente, come in una veglia funebre? No, i giovani non possono fare quello! La “dea lamentela” è un inganno: ti fa prendere la strada sbagliata”.

Ho sempre pensato che per un prete la cosa più entusiasmante è stare con i giovani, quei giovani che sono di Cristo, non di qualche parrocchia, di un movimento o, ancora peggio, del tale prete! Ed allora mi chiedo: perché considerare gli oratori come il ‘problema’ della nostra Chiesa? Perché contrastare una realtà che si potrebbe aiutare a crescere e migliorare? Perché chiudersi ad ogni tipo di collaborazione e confronto, sebbene desiderato e cercato? Perché invece di essere ‘animatori di fraternità’, coltivare separazioni e pregiudizi?

Non possiamo metterci anche noi a rubare la speranza ai giovani, intenti a rivendicare identità e autonomie. La diversità dei carismi non crea antagonismi e divisione ma, se c’è lo Spirito di Dio e non l’autoreferenzialità, diventa comunione e comunità.

Da prete giovane ho sempre cercato di imparare dai confratelli che la Chiesa mi ha messo vicino, specialmente da quelli con più esperienza, e devo ammettere che purtroppo sono caduto tante volte, e non solo da giovane, nelle trame della ‘dea lamentela’. Ora vorrei farmi accompagnare dalle due figlie della speranza, come ci ha ricordato nell’ultimo incontro formativo diocesano don  Antonio Loffredo citando S. Agostino, lo sdegno e il coraggio: “lo sdegno per le cose così come sono, il coraggio per cambiarle”.

Ed è per questo che ho pensato di scrivere questa lettera: non per accusare qualcuno ma semplicemente per invitare tutti, e specialmente noi preti, a provare sdegno per tutto ciò che è critica non costruttiva e rifiuto del dialogo, del confronto, della collaborazione. Mi auguro che ognuno di noi abbia il coraggio per cambiare parole e atteggiamenti che non danno visibilità alla Comunione e non costruiscono la comunità.

Spero proprio che questi pensieri siano motivo per riprendere un cammino che ci veda mettere da parte piccole invidie e gelosie, e servire, tutti insieme, i tanti ragazzi e giovani che chiedono di avere a che fare con testimoni di fraternità e facitori instancabili di unità.”

Redazione: