Di Federico Pontiggia
La Commissione di Selezione per il film italiano da candidare all’Oscar istituita dall’Anica, su invito della “Academy of Motion Picture Arts and Sciences”, riunita davanti a un notaio e composta da Nicola Borrelli, Martha Capello, Liliana Cavani, Tilde Corsi, Caterina D’Amico, Piera Detassis, Andrea Occhipinti e Giulio Scarpati, ha designato “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino, a rappresentare il cinema italiano alla selezione del Premio Oscar per il miglior film in lingua non inglese.
L’annuncio delle cinquine che parteciperanno al premio Oscar per il miglior film in lingua non inglese sarà dato giovedì 16 gennaio 2014, mentre la cerimonia di consegna dell’86esimo premio Oscar si svolgerà domenica 2 marzo 2014. L’Italia non raggiunge la nomination dal 2006 con “La bestia nel cuore” di Cristina Comencini, mentre la statuetta manca dal 1999 con “La vita è bella” di Roberto Benigni.
Uscito il 21 maggio nelle sale italiane, “La grande bellezza”, affresco esistenzial-capitolino interpretato da Toni Servillo, Carlo Verdone e Sabrina Ferilli, ha totalizzato in 18 settimane di programmazione 6.554.757 euro al box office italiano. Il 15 novembre uscirà a New York e successivamente in altre città americane. I più seri concorrenti per l’entrata in cinquina de “La grande bellezza” paiono: il romeno “Il caso Kerenes, Walesa” del polacco Andrzej Wajda, “Wadjda” di Haifaa al-Mansour, primo film firmato da una regista saudita, “The Grandmaster” di Wong Kar-wai e il cileno “Gloria”.
Fondamentale nella corsa verso la statuetta è l’appeal internazionale: quali erano state le reazioni della critica dopo l’anteprima al festival di Cannes? Ha scritto Jay Weissberg su “Variety”: “Un’intensa e spesso sorprendente festa cinematografica che onora Roma in tutto il suo splendore e superficialità”, mentre il collega del “Guardian” Peter Bradshaw ha sottolineato che “la grande bellezza, come la grande tristezza, può significare amore, sesso, arte o morte, ma soprattutto significa Roma, e il film vuole annegare nell’insondabile profondità della storia e della mondanità romana”. Fronte “Hollywood Reporter”, Deborah Young osservava che “fortunatamente il regista Paolo Sorrentino sa fare di meglio che imitare il gigantesco Fellini e ‘La grande bellezza’ è molto più di un inchino riverente, ripartendo da dove ‘La dolce vita’ ci ha lasciati 53 anni fa”. Ancora, “Screen International” per penna di Lee Marshall: “Certamente questa miscela di satira sociale e di malinconia esistenziale, questa ricerca della poesia anche ridicolizzando la poesia stessa è stato già fatto da Fellini. Ma ‘La grande bellezza’ rimane una straordinaria esperienza cinematografica”. Infine, il francese “Première” con Frédéric Foubert: “I virtuosistici movimenti di camera che troncano il respiro e fanno sgranare gli occhi, la sensazione paralizzante di un montaggio pop, un pensiero che si manifesta con un ritmo quasi allucinatorio. Fin dalle prime immagini di ‘La grande bellezza’, si capisce che ci siamo! […] Questa altezza della visione estetica, questa disperazione crepuscolare, danno a ‘La grande bellezza’ l’impronta di una ‘summa filmica’, del testamento di un vecchio maestro, salvo che il ‘vecchio maestro’ in questione ha 42 anni”.
Recensioni di buon auspicio, vedremo.
Ma, appunto, che film è “La grande bellezza”? Sorrentino ci dà due notizie. Prima la cattiva: di bellezza si può morire. Poi la buona: non moriamo noi, a rimanerci secco è un giapponese, reo di scatti compulsivi dal Gianicolo. Protagonista, lo straordinario Toni Servillo, che è tornato a lavorare per la quarta volta con il regista: è Jep Gambardella, 65 anni, re dei mondani, giornalista e scrittore con un solo libro all’attivo, “L’apparato umano”. Cita Flaubert, l’impossibile romanzo sul niente, si perde in mille chiacchiere alto borghesi, galleggia tra cinismo e disincanto in un mondo, per dirla con Cetto La Qualunque, in cui è “Tutto tutto, niente niente”. Tra il Fellini di “Roma” e “La dolce vita” e l’Ettore Scola de “La terrazza”, “La grande bellezza” è un film “bigger than life”, ambizioso senza arroganza, smisurato ma con proporzioni auree, sacro e profano, Celine (“Viaggio al termine della notte”) e canti gregoriani, cafone e beato: in mezzo lui, Jep, che sogna il primo amore smarrito e si consuma con stile per la creatività perduta, guardando il mare della giovinezza sul soffitto del suo appartamento vista Colosseo…