Ci sono pitture che si distinguono per intensità di significato e che introducono meglio i fedeli nel Mistero?
Sicuramente la già citata Madonna del Rosario, ci avvicina alla devozione popolare legata alla figura di Maria e alla preghiera del Rosario attraverso la meditazione dei Misteri riguardanti la vita di Gesù. Nel dipinto è rappresentato il momento in cui Maria consegna a S. Domenico il rosario. La scena si svolge in un intenso gioco di luci e ombre: in alto, la Madonna viene trasportata dagli angeli sulle nubi, dalle quali esce un’intensa luce e, mentre con una mano sorregge il piccolo Gesù, con l’altra porge la corona a S. Domenico, inginocchiato poco sotto in un paesaggio quasi notturno. Il Santo è riconoscibile dalla tonsura e dall’abito bianco dell’Ordine Domenicano con il mantello nero, che egli tiene allargato davanti a sé in gesto di accoglienza; i Domenicani infatti ritenevano che la Vergine fosse apparsa a S. Domenico nel 1210 donandogli la corona del rosario con cui avrebbe sconfitto l’eresia albigese, in realtà la preghiera si diffuse dopo il 1470.
Ritornando alla Madonna del Rosario di Senigallia di Federico Barocci, a cui si ispira la tela di Acquaviva, occorre dire come essa segni un decisivo cambiamento nell’iconografia del rosario che, abbandonato il rigido schema della “sacra conversazione” e la didascalica elencazione dei misteri, colloca San Domenico in estasi di fronte alla Madonna col Bambino, inaugurando una concezione figurativa basata sul rapimento mistico che anticipa la poetica barocca. Infatti la pala di Senigallia presenta una composizione più dinamica, scalata su direttive diagonali e percorsa da un moto ventoso che annuncia la linea più avanzata di ricerca seguita da Barocci nella piena maturità. Questa linea di ricerca, rivolta al sentimento e ad una circolarità coinvolgente di moto, troverà compimento in alcune opere legate dal tema del rapimento estatico, che rappresentano il passaggio determinante dei confini, mentali e cronologici, del Cinquecento. E la Madonna del Rosario può essere considerata ancora nei limiti del Cinquecento, con quei vortici nei panneggi (vedi soprattutto le vesti degli angeli a destra e a sinistra della Madonna, e il manto stesso di Maria), presentimenti barocchi, che amplificano il pathos estatico della figura di San Domenico. Nel dipinto anche l’uso dei colori concorre al gioco di luci e ombre: i toni sgargianti delle vesti degli angeli (giallo e rosso) e di Maria (rosso e blu), intensificati dalla luce che viene dall’alto, contrastano con i toni più freddi e la luce grigiastra della zona sottostante in cui è immerso S. Domenico.
Quella della Madonna del Rosario è una delle iconografie mariane più diffuse nelle Marche dove si è sviluppata precocemente soprattutto grazie alla nascita delle omonime confraternite presenti nella regione (ricordiamo che la confraternita del Santissimo Rosario della chiesa di S. Nicolò di Acquaviva, venne eretta il 5 ottobre 1581 a Napoli da P. Paolo Gentili dell’Ordine di S. Domenico). Fin dai primi anni del Cinquecento troviamo testimonianze pittoriche su questo tema nell’entroterra maceratese e anconetano, dove il modello, per contaminazione con altri schemi iconografici, è quello della Sacra Conversazione con la consegna della corona del rosario a S. Domenico e a S. Caterina. Qualche decennio più tardi, con l’impulso dato alla devozione per il rosario da Pio V, anche in seguito alla vittoria cristiana sui Turchi nella battaglia di Lepanto nel 1571 che si attribuiva all’intercessione della Madonna del Rosario, questo tema figurativo compare nell’Ascolano. La recita del rosario però era forse già nota e diffusa grazie alle stampe devozionali fin dall’ultimo quarto del XV secolo.
Altre due tele presenti all’interno della chiesa di S. Nicolò, il Compianto e l’Invenzione della Croce, ci portano invece a meditare su alcune delle verità fondamentali della fede cristiana: la passione e morte di Gesù e la potenza della sua resurrezione.
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