Il Compianto raffigura Maria, ormai senza più lacrime, seduta in primo piano con le braccia spalancate, gli occhi rivolti al cielo e il figlio morto in grembo, secondo la tradizionale iconografia della Pietà. La scena si svolge al centro di un avvallamento erboso alla presenza dei dolenti: a sinistra san Giovanni, con la veste verde e il manto rosso foderato di giallo; nel fondo due pie donne, Nicodemo e Giuseppe d’Arimatea; a destra Maria Maddalena che, inginocchiata, regge con le lacrime agli occhi il braccio di Cristo dopo aver posato a terra il vaso degli unguenti ritratto in un’accurata natura morta in basso a destra. Tutti i personaggi sono chiusi in se stessi in un dolore meditativo, di fronte agli avvenimenti che hanno portato al sacrificio di Cristo sul monte Golgota, ritratto in secondo piano con le tre croci, e soprattutto di fronte alla contemplazione del corpo esanime di Cristo e delle ferite provocate dai chiodi nelle mani e nei piedi, e dalla lancia nel costato: essi, col loro atteggiamento, sembrano invitare anche i fedeli a guardare e a meditare questo mistero.
L’Invenzione della Croce racconta l’episodio riportato nella Legenda Aurea, secondo cui sant’Elena, la madre dell’imperatore Costantino, appena ritrovata la vera croce su cui era stato crocifisso Gesù, si mise ad adorarla insieme alla sua corte. La vicenda va letta dal fondo, dove due operai stanno tirando fuori la sommità di una croce dallo scavo appena terminato. Uno dei due uomini, potrebbe essere Giuda, l’ebreo che, secondo la Legenda Aurea, avrebbe confessato sotto tortura il luogo in cui era stata nascosta la reliquia, prendendo poi anch’egli parte ai lavori. Assistono allo scavo l’imperatrice Elena, le sue dame e Macario, vescovo di Gerusalemme, appena riconoscibile in mezzo alla folla dalla mitra; così come risultano un po’ indistinte le figure dei tre ebrei col turbante che nella parte opposta parlano animatamente. Poco più avanti, la presenza di un colle lasciato in ombra fa da confine alla scena principale che si svolge in piena luce, dove avviene il riconoscimento della vera croce, in seguito alla resurrezione di un giovane su cui sarebbe stata posta la croce stessa. Il ragazzo risuscitato è ritratto a destra, avvolto da un manto rosso, mentre si inginocchia in segno di adorazione, accompagnato da un vecchio con la barba che gli indica la croce di Cristo, la quale occupa al centro la maggior parte della tela ed è retta da un uomo con la veste bianca e il mantello color rosso, che forse rappresenta Giuda, ormai convertito alla fede. In secondo piano, sulla destra, ricompare il gruppo di ebrei dissidenti già individuato in fondo, all’ombra di un edificio che probabilmente rappresenta il tempio di Venere (di cui si vede appena l’ingresso, decorato da una grande semicolonna di marmo) che fu fatto costruire dall’imperatore Adriano sul Golgota per scoraggiare il culto dei cristiani.
Questo dipinto ci introduce all’altro aspetto della croce: la glorificazione e resurrezione di Cristo che è destinata ad ogni uomo; infatti, il riconoscimento della vera croce, avviene con un miracolo: un giovane morto risorge, dopo essere stato appoggiato sul santo legno. La scena, nonostante l’affollamento dei personaggi in primo piano, risulta composta, le espressioni dei volti e la gestualità rimandano ad un atteggiamento di adorazione profonda davanti alla Croce di Cristo. Tale devozione, nasceva dal culto che il popolo di Acquaviva aveva fin da tempi antichi per la reliquia della Croce Santa, che era stata donata da Nicolò IV al convento dei Francescani Minori di Acquaviva.
Nella sua tesi di laurea emerge qualche particolare della storia della chiesa fino ad ora inedito?
Il lavoro da me svolto è stato quello di raccogliere il materiale storico già conosciuto e di integrarlo con le scoperte di alcuni studi recenti che non solo vanno a colmare un certo vuoto documentario, ma danno la possibilità di leggere correttamente parte dati storici riguardanti la chiesa di San Nicolò che erano stati equivocati in passato: mi riferisco in particolare alla permuta delle chiese, fatto importantissimo di cui si era persa la memoria, e che è riemerso grazie alle ricerche di Alessandro Sciarra; riguardo alle tele conservate in S. Nicolò, da sempre penalizzate da una mancanza di notizie sulla datazione, artista, committenza, risulta importantissimo ad esempio, lo studio di Massimo Papetti del 2009 sull’Invenzione della Croce e il Compianto su Cristo Morto, poiché avanza una nuova ipotesi attributiva, quella ai fratelli marchigiani Cesare e Vincenzo Conti (supportata dal confronto con altre opere da loro realizzate a Roma, Macerata, Arcevia, Morrovalle), i quali probabilmente ricevettero la commissione dall’acquavivano Antonio Migliori, fondatore, nel 1596, dell’altare della Croce presente ancora oggi all’interno di S. Nicolò, il quale ebbe modo di conoscere i due artisti a Roma dove alla fine del Cinquecento risiedette in veste di porporato.
Tali informazioni risultano davvero importanti e per questa ragione andrebbero divulgate il più possibile, anche attraverso un aggiornamento delle guide locali, non solo per migliorare la fruibilità delle opere d’arte nei confronti dei turisti che visitano la chiesa di S. Nicolò, ma per permettere agli acquavivani in primis di conoscere meglio e in modo corretto la propria storia.
La chiesa di S. Nicolò è infatti “un piccolo museo”, che custodisce al suo interno opere d’arte pensate appositamente per questo luogo e che quindi ha, più del museo stesso, il potere di far parlare gli oggetti, visibili nel loro contesto percettivo e d’uso. Occorre perciò valorizzarle il più possibile, facendo in modo di lasciarle parlare di sé, e mettere il visitatore in grado di comprenderne il loro linguaggio.
Mi auguro davvero che l’amministrazione comunale insieme ad altre realtà locali più sensibili a questi temi, possa prendere in considerazione e valutare un futuro progetto di aggiornamento della guida locale di Acquaviva per la promozione dei Beni Culturali che parlano della nostra storia ed arricchiscono il nostro territorio.